"Tutta la bellezza deve morire" di Luigi Pingitore

Ci voleva Giuseppe Montesano , il Montesano di quel Baudelaire “Ribelle in guanti rosa” , il Montesano della beauté éblouissante delle parole, per farmi scoprire Luigi Pingitore , e quest’ultimo per rimettermi sulla strada di Rimbaud. Il poeta che echeggia la “linea d’ombra” di Conrad, l’autore eterno i cui versi si intrecciano violentemente con le storie di Ezra e di Pier, protagonisti di “Tutta la bellezza deve morire” del suddetto Pingitore. Un libro nel quale i capitoli si susseguono senza nome, introdotti da un numero stranamente scritto per esteso. Un testo “a doppia direzione” per un unico senso, che insegue contemporaneamente le vicende di un gruppo di “post-adolescenti” e quelle di uno scultore francese sessantenne, sulle traccie dell’ultimo viaggio della figlia precocemente scomparsa, il cui nome mi è caro. Lui e Loro. Ezra e poi Francesca, “Dario, Liv, Pier e Silvia. Hanno tra i diciassette e i vent’anni ed è l’estate del millenovecentonovantasei”, tra la roccia a picco e il mare e un reticolo di frasi scolpite nel tempo. “Rifiutare non è rinunciare”, si può decidere di farlo per “troppa meraviglia”, per la paura di dover accettare l’inevitabile fine di quel lacerante splendore. Un gruppo di amici ubriachi di bellezza, nella luce accecante dell’estate sulla Costiera Amalfitana, tra il profumo intenso dei limoni e lo stordimento della vertigine. E quando, lentamente ed inesorabilmente, le loro giornate prendono una piega inaudita, come passi scalzi sulla pietra bollente, arriva l’epilogo. Tra sfide…

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"Tutta la bellezza deve morire" di Luigi Pingitore

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