L’Italia dei comuni, di François Menant

Nell’anno in cui si celebrano i 150 anni dall’Unità d’Italia – anno, questo, in cui, tra le altre cose, è stato approvato il federalismo municipale –, un grande storico francese come François Menant pubblica, per i tipi di Viella, un libro molto utile – oltre che bello, come al solito molto documentato e di godibile lettura – dal titolo: L’Italia dei comuni . Lo storico ripercorre due secoli e mezzo fondamentali per la costruzione del paese che troverà l’unificazione soltanto nel 1861, prima di allora, si sa, l’Italia era una costellazione di piccoli stati; Menant ripercorre precisamente i secoli che vanno dal 1100 al 1350 circa, ovvero fino alla peste del 1348 che, come altrove in Europa, segna la fine di un ciclo socio-culturale e politico che nel vecchio continente non ha avuto eguali. Il fenomeno comunale inizia con una forte concentrazione urbana in poche città del centro e del nord Italia. Il che, inevitabilmente, si trascina dietro anche una concentrazione di ricchezze che consente ai commercianti di creare una rete commerciale e bancaria e di modellare le circostanti zone agricole. «La creatività politica delle città italiane» dice Menant, «non è meno forte del loro dinamismo economico: è qui che il modello della repubblica cittadina, una forma di governo che viene sperimentata nel corso del medioevo anche altre regioni europee […], raggiunge la sua pienezza istituzionale, fondata sull’indipendenza nei confronti di ogni altro potere». «Una società dotata di una così forte creatività» continua Menant, «e che conosce trasformazioni tanto profonde in ogni campo non può che essere aperta alla mobilità sociale: ad essa è connaturata la valorizzazione della ricchezza e della cultura come criteri di riconoscimento». Le tante città del centro-nord, con documenti chiese palazzi e monumenti, sono lì a…

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