Lettera al medico in manicomio di Alda Merini

Sull’ Alda dei “lunghi attimi liminari”, la donna del manicomio e della sofferenza, sono stati scritti fiumi e fiumi d’inchiostro. Ruscelli corposi che hanno ingrossato il mare della riflessione sull’argomento, contribuendo a far luce su un aspetto a volte erroneamente tralasciato di alcuni grandi scrittori e scrittrici. Ma se la voce della diretta interessata, non ha smesso di proferire detti e ricordi, ciò non toglie che ogni testimonianza in merito, anche la più piccola, resti uno spiraglio di impagabile comprensione. In quest’ottica abbiamo letto e offriamo ad altri “occhi altrettanto assetati” la “Lettera al medico in manicomio”, prezioso documento di un soggiorno tutt’altro che semplice, che, come un biglietto, emerge dalla prigione di una mente geniale e sofferente, nella quale il talento era solo uno dei dolorosi figli di un profondo male di vivere che si è perpetuato con immenso amore, nonostante tutto. Egregio professore, so che le è stato riferito che io non prendo «regolarmente» le sue medicine. Naturalmente si tratta dei soliti pettegolezzi di ospedale che purtroppo alle volte rovinano con la loro cattiveria la buona fede di chi crede nella lealtà del prossimo. È vero, qualche volta ho omesso il Nobrium perché non volevo cadere nel solito stato di incoscienza e volevo tenermi un po´ desta, un po´ attiva, ma se mai un ammalato non prendesse i medicamenti prescritti la cosa più grave non è nella omissione degli stessi ma nel proposito, assurdo e malato, di non volere guarire. Chi viene a riferirle queste cose dimostra un animo molto meschino ed io nella mia semplicità ed anche nella mia malattia mi rallegro di non essere tra le file di quelli che si chiamano «spie». […] Vede che in questo momento il mio equilibrio è sano, però prima che io possa accedere ad una certa chiarezza occorre che lasci libero sfogo alle lacrime che comprendono tanti e tanti dispiaceri. Ad esempio proprio ieri ho visto un uccellino che giocava nella sabbia, era così …

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