Nome del gioco: morte, di Dan J. Marlowe
Tutto inizia con una rapina andata a buon segno: un bottino di poco meno di duecentomila dollari che finiscono lisci lisci nelle tasche di Chet Arnold e del suo partner Bunny. Per evitare problemi i due si dividono dopo il colpo, con l’impegno da parte di Bunny di mandare ogni settimana dei soldi a Chet. Tutto va bene per qualche tempo. Poi all’improvviso niente più soldi. Chet Arnold si mette allora in cerca del suo partner per capire cosa sia successo. In estrema sintesi questa è la trama di Nome del gioco: morte di Dan J. Marlowe (1917-1986), pubblicato da Elliot con la traduzione di Marco Di Giuseppe. The Name of the Game is Death risale al 1962 ed è considerata una delle migliori opere di Dan J. Marlowe. Il ritmo è incalzante e la storia è narrata molto bene. Non è un caso che un rapinatore di professione, tal Al Naussbaum, dopo aver letto questo libro di Marlowe lo contattò e i due diventarono amici e insieme scrissero anche alcuni racconti. L’aspetto interessante del libro, secondo me, risiede nel modo in cui Marlowe costruisce la storia: attraverso la ricerca del partner sparito, l’autore descrive il carattere di Chet Arnold e, con una serie di flashback, ci racconta episodi della sua vita che ci aiutano a meglio comprenderne la storia. Siamo anche noi a bordo di quella Ford che attraversa l’America e che, contemporaneamente, ci fa viaggiare nei ricordi del protagonista che, a suo modo, è stato sempre fedele a se stesso, non sopportando le ingiustizie e per questo spinto a farsi giustizia da solo, quasi che gli altri intorno non si rendessero conto di come stessero le cose nella realtà (e nell’episodio del gattino che lui vendica o dell’amico accusato ingiustamente di pedofilia il cattivo sembra essere l’unico sano di mente…) La lettura scorre veloce anche grazie all’ottima traduzione di Marco Di Giuseppe. Dan…
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