Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche, di Melanie Joy

Perché ci disgusterebbe sapere che qualche nostra amica ci ha servito un ottimo “spezzatino di Golden Retriever” e non battiamo ciglio davanti a un’agnellino al forno? Più agghiacciante di un thriller, con più colpi di scena di un giallo, e interessante come un arguta dissertazione di filosofia e psicologia, questo testo della psicologa e attivista americana Melanie Joy. Già il titolo ci mette in crisi: perché amiamo quelli che abbiamo classificato come “animali da compagnia” (classificazione che varia da Occidente a Oriente, lo sappiamo) e non gli altri? Si tratta di un testo molto arguto, appunto, e allo stesso tempo molto duro, puntellato di sagge riflessioni di romanzieri o scienziati – da Hawking a Tolstoj o Wittgenstein – per mettere sotto gli occhi a tutti i lettori di buona volontà, una riflessione sul “carnismo”. Carnismo. Parola inusuale, è vero, ma a rigor di logica se esistono i vegetariani, perchè non possiamo chiamare coloro che mangiano carne “carnisti”? Perché è proprio dal linguaggio e da una seria riflessione (basata su testimonianze ed evidenze scientifiche), che bisogna partire. Ad esempio i maiali sono più intelligenti dei cani, lo sapevate? Il problema è che non abbiamo mai sentito le loro grida di terrore di fronte all’odore del sangue, sulla via verso il macello. E la mamma mucca può arrivare alla follia quando dopo poche ore la separano dal suo vitellino, per avere il suo latte pronto da imbustare. È semplice, allora: la nostra indifferenza verso gli animali “da tavola” dipende soprattutto dalla “invisibilità” del sistema di nascita, allevamento e macellazione di tutti loro. Senza considerare gli espedienti adatti a “desensibilizzarci” nei loro confronti, a farci passare dall’empatia all’apatia. Si parte dal modo di…

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