Self publishing: c’è dietro la pigrizia degli aspiranti scrittori?

Autopubblicarsi? È come ammettere di essere troppo pigri per fare il “lavoro sporco”. Così inizia una polemica sul Guardian rispetto agli autori che decidono (a volte, oltremanica, con successo) di pubblicare da sé i propri testi rivolgendosi al vasto pubblico. Spesso, dice la giallista Sue Grafton (nella foto), si tratta di dilettanti, come uno studente che spera di riuscire a eseguire uno spartito musicale di base chiedendosi se è pronto per esibirsi a Canergie Hall. Il paragone è molto ficcante, ma è interessante chiedersi in cosa consista questo “lavoro sporco” da cui gli autori che si auto-pubblicano vogliono esimersi. Consiste ad esempio, nel prendere rifiuti, imparare la lezione e lavorare l’opera per un periodo continuativo di tempo. L’autrice sembra parlare a ragion veduta, visto che i suoi tre primi romanzi sono stati tutti rifiutati dagli editori a cui li ha proposti. Succede invece che spesso chi arriva solo a completare un romanzo subito si senta subito pronto “pronto per la fama e la fortuna che è sicuro di meritare”. Invece bisogna imparare a costruire personaggi narrativi, ad esempio, dice, così come lavorare su un equilibrio con le parti descrittive. E poi, i dialoghi richiedono molto tempo. “Non si tratta di un facile progetto casalingo fai da te ”, cosa che lasciano credere i sistemi per l’autopubblicazione, che funzionano poco, continua “se applicati all’arte”. Ma sentiamo anche l’altra campana, ovvero un autore (Adam Croft) che in Inghilterra si autopubblica anche con discreto successo, secondo il quale l’accusa di pigrizia è “oltraggiosa”. “E’ vero il contrario – dice – autopubblicarsi significa trovare il tuo editore, il tuo disegnatore di copertina – o farlo da soli – far da soli tutto il lavoro di marketing e vendita etc…Avere un editore è pigrizia, perchè tutto quel di cui hai bisogno è scrivere un libro accettabile e permettere che il tuo editore lo renda vendibile”. Cosa che, dice, …

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