Un piccolo omaggio a Giulio Einaudi, editore

Uno struzzo in campo ovale con un chiodo in bocca e una scritta: Spiritus durissima coquit, ovvero lo spirito digerisce le cose più dure. A questo piccolo stemma cinquecentesco, che avrebbe potuto benissimo fungere da stemma di casata nobiliare, il caso ha voluto affibbiare un compito molto più grato, quello di rappresentare una grandissima impresa culturale, forse una delle più importanti dell’Italia novecentesca, l’Einaudi. L’uomo che scelse quel simbolo – che in realtà “acquisì” dalla rivista La Cultura di Mario Praz – si chiamava Giulio Einaudi e oggi, 2 gennaio 2012, avrebbe compiuto un secolo tondo tondo. Su Twitter quest’oggi sono tantissimi i fedeli einaudiani che gli stando offrendo il proprio tributo: una citazione, una dichiarazione di stima e di affetto, persino qualche parola di rimpianto per i tempi che furono. È innegabile, infatti, che ripensando a Giulio Einaudi e agli anni d’oro del suo gioiello editoriale si ripensa a uno scenario intellettuale che rispetto ai nostri giorni pare un olimpo: Pavese, Vittorini, Ginzburg, Calvino e moltissimi altri. Insomma, la crema di una classe intellettuale che molti ormai dichiarano estinta. Ma è proprio vero? Io credo di no, esattamente come sono convinto che il miglior modo di fare arrivare a Giulio Einaudi i nostri auguri sia portare avanti con forza questa convinzione. È vero, l’Italia ha passato gli ultimi vent’anni a dormire, con la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Ma questo non significa che la cosa debba continuare a piacerci. È arrivato il momento di riemergere, di tirar fuori la testa dalla sabbia e l’inizio di un anno come il 2012 – magnete per profezie millenariste

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