Una canzone che ti strappa il cuore, di Joseph O’Connor

«Sono cresciuto a circa un miglio dalla vecchia casa dove John Synge e sua madre trascorsero i loro ultimi, difficili anni: una casa che compare alcune volte in questo romanzo. Da bambino spesso ci passavo davanti e mi faceva un po’ paura: a volte mi chiedevo di quali storie potesse essere stata testimone» . Così scrive Joseph O’Connor nei ringraziamenti in calce al suo ultimo, bel romanzo: Un canzone che ti strappa il cuore , appena edito da Guanda, traduzione di Massimo Bocchiola. Queste sue parole in un certo qual modo ci autorizzerebbero a definire il romanzo, se vogliamo, una biografia immaginaria, dato che si tratta di personaggi storicamente esisti: John Synge, genio del teatro irlandese, che insieme a un altro genio, Yeats, fonda l’Abbey Theatre di Dublino, e l’attrice Molly Algood (al secolo, Marie O’Neil). Ma è prima di tutto un romanzo ‒ e in quanto tale può permettersi alcune libertà sulla verosimiglianza della storia, e di fatto lo fa ‒, che racconta una storia d’amore, per l’appunto, quella tra Synge e Molly. Tutt’altro che facile da vivere, questo amore, perché a contrastarlo e a renderlo invivibile ci si mettono le rigide convenzioni sociali dell’epoca edoardiana, incarnate dalla terribile, e temibile figura della madre di Synge. Una madre plasmata e tenuta sotto scacco dalla religione. A raccontare la storia è un narratore molto vicino a Molly, al punto che spesso la tratta con una familiarità e un’affezione tale da parlarle direttamente, di avvicinarsi a lei fino usare la seconda persona. Purtroppo, quando facciamo la sua conoscenza, Molly è ormai una vecchia attrice dimenticata, vive sola in un cadente appartamento nella Londra di inizio anni ‘50 e l’unica consolazione è l’alcol; non sente sua figlia da mesi, da quando cioè ha litigato con il genero, …

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