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Nell’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini (1975)

Commemorare Pier Paolo Pasolini apre nella coscienza una ferita che inevitabilmente gli anni non hanno potuto e saputo rimarginare. La distanza temporale è un fatto inequivocabile, ma il permanere dei mali contro i quali Pasolini si impegnò con passione, rendono le minuziose analisi, le accuse, le richieste di giustizia ancora laceranti. Ricordandone la morte, Eduardo De Filippo ebbe a dire che Pasolini era un uomo di grande sensibilità e innocenza, quasi una presenza angelica, libera dai condizionamenti terreni che impongono compromessi e accomodamenti e, al contrario, rivolto verso un mondo fatto di giustizia e umanità liberata dal condizionamento pesante del consumismo efferato che già in quegli anni manipolava pesantemente la società italiana fresca di boom economico e famelica di benessere, preteso, vissuto, ostentato. I mercati che tutto possono erano già presenti nelle analisi di Pasolini: un mercato estraneo dall’umanità e dal quotidiano e votato alla creazione di bisogni fittizi su cui costruire e con cui condizionare la società. I conniventi, i vari governi democristiani del tempo sono chiamati in causa per aver permesso il sacco dell’Italia, della scuola italiana, del territorio e di tutte quelle attività sociali che avrebbero creato un più consapevole consenso verso le istituzioni. Dice esplicitamente Pasolini che molti governanti andrebbero “trascinati sul banco degli imputati e accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico”. E desolatamente tutto si ripete. Ma l’Italia

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Nell’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini (1975)