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La biblioteca dell’anatomista, di Jorgen Brekke

In automobile, ripensò alle lezioni di poesia che aveva seguito alle superiori. Il professore era un appassionato di Edgar Allan Poe, ecco perchè Felicia Stone conosceva quell’autore meglio di tanti altri. Ma non avrebbe mai creduto che quelle conoscenze le sarebbero tornate utili nel suo lavoro di detective. Almeno non fino a quel giorno. Un thrillerone da brividi e molto piacevole questo La biblioteca dell’anatomista , di Jorgen Brekke, con i suoi flash back nel cuore di un monaco vissuto nel 1500, apprendista al seguito delle arti proibite (all’epoca) di un anatomista, e che ha avuto una infanzia che lo segnerà a vita. Cos’è che lega i viaggi dell’anonimo frate alla ricerca di un famoso barbiere dell’epoca e dei suoi coltelli rinomati, a due omicidi avvenuti nel 2010 nella civilissima Norvegia, dove in genere i poliziotti come Singsaker escono tranquillamente in servizio senza pistola d’ordinanza? Su queste orribili vicende di sangue sembra pesare una passione squisitamente letteraria, lo studio di un antico manoscritto di Edgar Allan Poe, anche lui morto in circostanze mai del tutto chiarite. Il tutto si complica se sulla scena di uno dei due delitti c’è il protagonista di una vicenda mai risolta in un lontano passato: Jon Vatten, fortemente indiziato, all’epoca dei fatti, per la misteriosa scomparsa di moglie e figlio. Verso di lui, il passato sembra tornare ad accanirsi. Ma una intraprendente poliziotta americana con qualche ombra di troppo del

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"Due racconti italiani" di Edgar Allan Poe

Non c’è Poe sul quale non valga la pena di gettarsi a capofitto, che si tratti di grandi classici osannati, o di piccoli racconti quasi sconosciuti ai più. E’ questo l’unico parametro che seguo quando entrano in gioco le scure atmosfere dello scrittore bostoniano, e, obbedendo ad una tale indicazione, non potevo che cadere nella “splendida trappola” tesa dalla pubblicazione di “Due racconti italiani” , ritornata attuale grazie alla versione della Giulio Perrone Editore. Non vedo come sarebbe potuto essere altrimenti, visto che i due “piccoli tesori noir” racchiusi nel libretto dalla sobria copertina arancione, sono ambientati in Italia. Un particolare che non fa altro che accrescere l’aspettativa, visto che, per di più, non sono a conoscenza di visite dirette di Poe nel nostro paese, informazione peraltro confermata dalla nota introduttiva di Pierluigi Vaglioni, e che i testi in questione sono quindi frutto di una fascinazione alimentata per anni, ma priva di contatto diretto. Ma qual’è il titolo di queste misteriose…

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"Due racconti italiani" di Edgar Allan Poe

New York diaries 1609-2009, di Teresa Carpenter

Segnalo un originale “diario” di New York raccontata dagli occhi di personaggi famosi del mondo della letteratura, dell’arte, della scienza, strutturato come un “puzzle” dei loro diari ed epistolari, articoli di giornale. Il libro si chiama New York Diaries 1609-2009 , di Teresa Carpenter (Modern Library), ed è la struttura a meritare un plauso per originalità, visto che è ordinata cronologicamente come un vero diario, giorno dopo giorno. Ad esempio fu il 3 maggio del 1947 che Simone de Beauvoir ci racconta come decise di preferire il bourbon alla marjuana, e il capitolo del diario

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Il Turco, di Tom Standage

L’uomo contro la macchina. La macchina che sfida l’uomo. Due affermazioni, queste, che potrebbero essere la sintesi dell’interessante libro di Tom Standage, Il Turco , pubblicato in questi giorni da Nutrimenti . L’autore, è editor dell’ Economist , racconta la storia del celeberrimo automa scacchista che ha visto la luce nel 1770 per mano dell’ungherese Wolfgang von Kempelen e poi, alla sua morte, passato di mano in mano fino a divenire proprietà di Johann Nepomuk Maelzel che lo portò negli USA. Ed è proprio in un incendio scoppiato nel 1854 a Filadelfia che il Turco andò in cenere. L’automa, oltre ad essere bravissimo nel gioco degli scacchi e a battere fior fiore di scacchisti, era ammantato da un’aura di mistero perché nessuno riuscì mai a spiegarne il funzionamento. Proprio su questo aspetto Tom Standage costruisce la narrazione: all’inizio egli ci rivela che il mistero del Turco è stato oggi svelato, ma poi non ci dice nulla di più, incuriosendo il lettore e portandolo a scoprire sia l’avventura storica dell’automa giocatore di scacchi, sia la ben più interessante storia della meccanica che muoveva quelle meraviglie Sette-Ottocentesche che erano gli automi e, di conseguenza, l’acume delle menti che questi automi progettavano e scaturivano. Il Turco , così, non è solo un libro che narra di un automa, ma diventa quasi una sorta di viaggio nei progressi della scienza che ha portato alla nascita dei computer (non è un caso che l’ultimo capitolo del libro parli di Alan Turing ). Attraverso le pedine che si muovono sulla scacchiera, viene quasi delineata la fatica – e la bellezza – del cammino dell’umanità nell’andare sempre avanti, nello sfidare le macchine, da un lato, e nel lasciarsi aiutare da esse nella vita quotidiana. E come il Turco conteneva un …

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