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Un secolo dalla nascita di Caproni, e più di vent’anni senza

Il 7 gennaio del 1912, a Livorno, nacque Giorgio Caproni, uno dei poeti più rappresentativi dell’intero Novecento italiano, uno di quelli che insieme a Montale, Sereni, Luzi, Loi, Sanguineti, Zanzotto e pochi altri, va a riempire le poche caselle di un’ideale parnaso tricolore del secondo Novecento. Come molti dei nati in quella decade (molti ma non tutti), anche Caproni partecipò alla resistenza contro il nazifascismo e, come altri, proseguì le battaglie, cominciate nelle valli, nelle barricate scolastiche delle scuole elementari di provincia. Eh già, era un maestro elementare Caproni, e non stupisce, proprio per questo, che le sue poesie somiglino spesso a filastrocche, rimate e breviversi. Caproni però, è sempre stato ai margini. Ai margini delle etichette critiche – che non riuscivano a raccapezzarsi del suo vagare incategorizzabile, né ermetico né narrativo, ma anche ai margini dell’attenzione della società civile e della classe dirigente di questo paese. Il giorno dei suoi funerali, Andrea Barbato – conduttore di cui qualcuno spero si ricordi – gli dedicò una delle sue cartoline. Disse che si sentiva stupito e indignato dal fatto che l’Italia non fosse andata a riconoscere il proprio debito al poeta, che a parte pochi intimi e sodali, non ci fosse nessun gonfalone, nessuna presenza istituzionale a dargli l’ultimo saluto. “Chissà se un giorno vivremo in una società che non si vergogni dei suoi rari poeti”, disse in quell’occasione Barbato. E noi, che leggiamo a quattro lustri di distanza, un po’ ci vien da sorridere, perché ora più cha mai ci rendiamo conto di quanto fosse ingenua quella speranza. L’Italia, da quando ancora in briciole costringeva Dante…

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La liturgia della lettura

Si dice che Machiavelli , quando leggeva, si vestisse con abiti del periodo in cui era vissuto lo scrittore che stava leggendo; si dice anche che, quando era immerso nella lettura, facesse imbandire la tavola sia per lui che per l’autore che stava leggendo. Marcel Proust , nello scritto Sulla lettura – che nacque come introduzione alla versione francese di Sesamo e gigli di John Ruskin – parla di quella speciale liturgia che accompagna la lettura di un libro speciale: Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto intensamente quanto quelli che crediamo di avere perduto senza viverli, i giorni trascorsi in compagnia di un libro molto caro. Tutto quello che piaceva ai più lo allontanavamo come un volgare ostacolo per un piacere divino: l’amico che veniva a cercarci per giocare quando stavamo nel passaggio più interessante; la molesta ape o il raggio di sole che ci obbligava ad alzare gli occhi dalla pagina o a cambiare posizione; la merenda che ci avevano …

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