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"L’Uomo verticale" di Davide Longo

Leonardo è un professore universitario, o meglio lo era prima, prima di ritirarsi a vivere in provincia, nel nord-est d’Italia, quando questa definizione aveva ancora un senso compiuto, perché ormai la società non ha nulla da offrirgli e molto da chiedergli. Ogni cosa sembra aver perso il suo cardine, l’intera esistenza ha preso una piega bieca e inaspettata e la dura lotta per la sopravvivenza è l’impegno concreto e pressante al quale bisogna far fronte costantemente. L’uomo è a capo di una strana compagnia errante, con lui Lucia, la figlia ritrovata, il figlio dell’ex-moglie e un elefante buono. Un “quartetto d’archi” che stringe i denti e prova ad attraversare la frontiera. Troppi gli echi di

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"L’Uomo verticale" di Davide Longo

L’ultimo quadro di Van Gogh di Alan Zamboni

Sono ancora troppi gli interrogativi che circondano la figura di Vincent Van Gogh. Mentre si riaccendono le ipotesi che rileggono in tutt’altra luce il presunto suicidio di Van Gogh, che nasconderebbe secondo gli studiosi americani Steven Naifeh e Gregory White Smith, un omicidio commesso accidentalmente da alcuni ragazzini che giocavano con una pistola difettosa, coperti dallo stesso Vincent, che avrebbe preferito tacere pur di far non far pesare sulle loro giovani esistenze una colpa tanto grave (obbedendo forse ad un desiderio di religiosa espiazione che lo tormentava da anni e sperando anche di risolvere così i problemi economici dell’amato fratello, perché in fondo le opere di un morto valgono più di quelle di un vivo ), ecco che il libro di Alan Zamboni offre un’altra chiave di lettura. Vincent… Me lo vedo…con l’unica faccia che conosco di lui, quella che si ritraeva spesso. E’ nella sua camera adibita a studio nel manicomio Saint-Paul-de-Mausole . E’ chiuso nell’ospedale ed è notte. Ha acceso le lampade a olio. Sicuramente ha intorno a sé luci di quel tipo perché ricordo che Theo mi confidò che, da un rapporto del dottor Peyron, aveva saputo che Vincent durante una crisi, aveva tentato di …

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La biografia autorizzata di Steve Jobs!

Bisognerà aspettare fino a lunedì 24 ottobre, due giorni prima dell’uscita di iJobs , ritratto non autorizzato, per poter sfogliare la traduzione italiana edita da Mondadori (la versione in inglese è infatti già ordinabile su Amazon a poco più di 17 dollari) dell’unica biografia autorizzata del guru della Apple , ma non giurerei che si riesca a comprarla facilmente visto il “fanatismo” che circonda tutti gli oggetti legati al nome di Steve Jobs prima e dopo la sua recente dipartita, anche perché, caso più unico che raro vista l’ormai nota mania di controllo del dirigente, sembra che sia stato lo stesso Jobs a lasciare carta bianca al biografo, incoraggiando familiari e collaboratori più stretti ad aiutarlo nel lavoro di descrizione. L’autore è Walter Isaacson , ex presidente della Cnn , giornalista del Time , e attuale direttore dell’Aspen Institute, che dopo aver scritto le biografie di personaggi del calibro di Benjamin Franklin en Albert Einstein, ha “indagato” la vita di un’icona di portata mondiale, cercando di restituirne la dimensione più personale, l’ambizione, ma anche l’importanza di persone-chiave come Jonathan Ive , fondamentale braccio destro, già indicato da numerose fonti prima della morte di Jobs, come “possibile successore” , che ha effettivamente raccolto l’eredità del patron di una delle più grandi “firme” della tecnologia odierna. Un libro espressamente voluto dallo stesso Jobs per “lasciare un ricordo ai suoi figli”. Nessun cenno al noto

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Libia 2011, if you don’t come to democracy, democracy will come to you, di Paolo Sensini

Non mi sarei mai aspettato di finire di leggere questo libro proprio il giorno in cui la comunità internazionale avrebbe festeggiato la morte del suo acerrimo nemico Muammar Gheddafi. Eppure, ve lo giuro, tra il momento in cui ho voltato l’ultima delle pagine che compongono questo Libia 2011, scritto da Paolo Sensini per Jacabook, e quello in cui sulle pagine dei giornali di tutto il mondo è stata pubblicato il terribile fotogramma che ritrae il cadavere non sono passate neppure due ore. A parte questa strana coincidenza, il libro di Paolo Sensini ha alimentato ancora di più la mia più completa incertezza sulla valutazione di ciò che sta accadendo in Libia. Chiariamo: la mia incertezza non ha mai riguardato il fatto che questa guerra, intrapresa dall’Europa grazie alla Risoluzione 1973 dell’Onu, fosse sbagliata. Non l’ho mai messo in dubbio. Esattamente come non ho mai messo in dubbio il fatto che molto più della sicurezza e della libertà dei cittadini libici era il petrolio a fare gola alla comunità internazionale – Francia e Inghilterra in primis. Il quadro che emerge da questo pamphlet di Sensini è però molto più complesso e difficile da digerire. Prima di tutto quelli che i media occidentali hanno rappresentato come i Ribelli, gli Insorti o, più “gionalisticamente” il CNT – Comitato Nazionale di Transizione – emergono come una forza jihadista, molto vicina ad AlQaida, insomma, non esattamente come quei protettori della libertà e della democrazia che i media mainstream hanno dipinto. Nello stesso modo Gheddafi, dopo essere stato accolto con i più grandi onori da tutti i capi di stato europei – indimenticabili gli incontri con Sarkozy e Berlusconi – e ridipinto come un criminale appena è stato utile alal comunità internazionale, quasi fosse l’incarnazione stessa del male. La realtà però è ben diversa da un hollywood movie in cui i buoni combattono i cattivi. Ed è proprio per questo che Libia 2011 è un libro da leggere assolutamente. Innanzitutto per conoscere la storia dei rapporti tra Italia, Europa e Libia, fondamentali per capire la situazione che si …

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