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Padre Lino, fortemente indiziato di santità, di Giorgio Torelli

“Un vero sovversivo. Scalzo”. Così Epoca, in un articolo del 1973 a firma Giorgio Torelli, descriveva padre Lino Maupas, francescano “dalmata di bazza lunga e sandali sfondati che marciò infaticabile nelle strade di Parma tra il 1894 e il 1924”. Padre Lino che proprio nel 1924 morì d’infarto, nella portineria dell’imprenditore Riccardo Barilla, da cui era andato insieme a un disoccupato a chiedere – come aveva fatto per molti altri – che gli desse un lavoro. Padre Lino è rappresentato perfettamente dai sandali usurati in copertina di questo libro di Torelli. Sandali che lo hanno accompagnato per chilometri e chilometri di strade, tutte girate in tondo per la sua Parma, sandali esausti a fine giornata, ai piedi del suo giaciglio in convento e, più tardi, sulle soglie delle celle degli ergastolani dove passò le notti per lunghi anni. La sua prima tomba di legno vollero costruirgliela tutti insieme, i “suoi” quattrocento condannati a vita, che ebbero il permesso di portarla a braccio fin fuori dal carcere (ritornandosene poi dentro senza che nessuno tentasse la fuga, come riportano le cronache di allora). Padre Lino che rubava. Rubava di tutto, alla mensa dei suoi confratelli: pane, abiti, legna, maglie, tutto il cibo che poteva, per distribuirlo ai suoi “contatti” poveri. Una mensa ambulante, praticamente. Finchè un giorno non si azzardò a rubare anche i tessuti usati per le cerimonie sacre: i preziosi purificatoi (dei “riquadri candidi per detergere i calici” e gli amitti, “i fazzoletti di bucato che i celebranti recano al collo”). Li portò in una soffitta, dove aiutò a partorire una ragazza madre che non aveva niente di suo. “Bene, benissimo, arcibene – commenta il suo gesto mons. Esilio Tonini nella prefazione – perché tutto serve a Dio. Il bene di Dio è l’uomo. Il corpo di una donna fa parte del Cristo”. Impensabili lezioni di umanità e vera religione da un frate col nasone, che se glielo offrivano non …

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Papa Wojtyla e i giornalisti: la biografia di Riccardi e le interviste di Angela Ambrogetti

“Escono in questi giorni, quasi in contemporanea, due testi dedicati alla figura di papa Giovanni Paolo II (che il primo maggio prossimo sarà proclamato beato). Il primo, edito da San Paolo ed., è la prima vera biografia dedicata a Wojtyla, e l’ha scritta il fondatore della comunità di sant’Egidio, Andrea Riccardi, ( Giovanni Paolo II. La biografia , pubblicato nella collana ‘Tempi e figure’). Riccardi, che è anche uno storico, inquadra la figura del Papa nel quadro geopolitico

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I sette fuochi del tempio, di Daniel Levin

I sette fuochi del tempio , di Daniel Levin, appena uscito per Nord, è un ottimo esempio di come l’eurdizione possa accordarsi pienamente con la letteratura di genere, nel caso specifico si tratta di un thriller avvincente e pieno di azione. A essere precisi, si tratta di un thriller storico-archeologico con un forte interesse per la religione – direi fondante. Jonathan Marcus è un avvocato americano che ha trascorsco un lungo periodo di studi all’American Accademy di Roma. Ha concluso una tesi su una figura spesso dibattuta: lo storico latino Flavio Giuseppe. La tesi di Jonathan è molto interessante anche sotto il profilo storico, secondo la quale Flavio Giuseppe non fosse affatto un traditore degli ebrei che, per salvare la propria pelle, si vendette al nemico, Tito, l’imperatore dei romani che avevano distrutto Gerusalemme, a tal punto da diventare una sorta di storico di corte. La verità, stando sempre alla tesi di Jonathan, sta probabilmente all’opposto: potrebbe darsi che Flavio Giuseppe, stando vicino all’imperatore, fosse vicino agli ebrei molto più di quanto si sia pensato finora. Tutto lasciarebbe pensare, insomma, che Flavio Giuseppe fosse una specie di spia. E, sia detto tra parentesi, risulta che non fosse nemmeno il primo. Tesi estremamente interessante. Peccato che Jonathan non è mai riuscito a trovare le prove. Il suo periodo di studi si interrompe bruscamente quando, in compagnia di tre suoi colleghi e …

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