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Una lettera di Stanislas Rodanski a André Breton

Stanislas Rodanski è ormai una nostra “vecchia conoscenza”, nella misura in cui abbiamo già avuto modo di parlare di lui nelle colonne di booksblog . Durante uno dei suoi numerosi e ripetuti periodi di internamento presso il manicomio di Villejuif, il poeta lionese scrisse una lettera ad André Breton, antico compagno surrealista. Pubblicata per la prima volta nel numero 1 della rivista Exit (nell’ottobre del 2010), la missiva è composta da quattro pagine fronte-retro, in carta quadrettata di cattiva qualità. “Istoriate” con inchiostro blu, sono datate dal primo aprile 1950 fino al 28 dello stesso mese, come testimonia il timbro postale sulla busta. Contenuta all’interno del lotto “manuscrits, n°2330″, e venduta nel 2003 ad un libraio parigino è stata successivamente acquisita dalla Bibliothèque municipale de Lyon , dove è custodita ancora oggi. Ve ne restituiamo una parte liberamente tradotta: Primo aprile Caro André Breton, non so se sia la data, con il suo portato immaginifico, che mi incita a scrivervi stasera, a parlarvi di quest’anima, sentinella sempre allerta – in allerta da sempre – e il cui canto notturno sale e si infiamma con i fuochi di Saint Jean, che, quando arriva la stagione – fiammeggiano solitari agli occhi di qualsiasi guardia? Come un falò che attende il giorno, penso

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Stanislas Rodanski il poeta surrealista di Néon

Ventisette sono gli anni che il poeta Stanislas Rodanski trascorse tra i muri del manicomio di Villejuif , poco meno di tre decenni immersi nelle mura strette e nei corridoi brucianti di grida e di dolore. E, ironia della sorte, in quello stesso luogo era stato condotto, proprio all’età di ventisette anni, dalla sua stessa famiglia. Fu lui, scrittore errante, dalla scarsa fortuna in vita, a suggerire il nome per la rivista dei surrealisti. Il 21 giugno 1947, tra i tavolini del café de la place Blanche, durante la riunione che segnò l’inizio del “rinascimento del surrealismo” e la creazione della sua nuova rivista, disse di chiamarla “Néon”, e la definizione fu accettata come un segno. Ma di lui ci restano soprattutto le ombre, una vera e propria “corte di spettri” che popolano i suoi scritti di un fascino sconcertante e, a tratti, inquietante. “Gli intimi mi chiamano Stan, i familiari Bernard, gli indifferenti Rodanski e i poliziotti Glücksmann”, scriveva nel suo ultimo diario tenuto dall’artista Jacques Hérold . Parole alle quali si uniscono quelle dedicate alla riflessione sul suo stesso lavoro. Non si tratta di creare un’opera, ma di affermare un atto di presenza nei confronti di me stesso, il solo atto di fede di cui sia capace. Un atto di fiducia che sia come l’amore: con l’ombra e la preda fuse in un unico fulmine nel quale, la vita e la morte, la ragione la follia, il sogno e la veglia, l’alto e i basso, cessano di essere percepiti differentemente. Un’illuminazione unica, il punto del giorno che cerco appassionatamente di determinare. Via | stanislas-rodanski.blogspot.it Stanislas Rodanski il poeta surrealista di Néon