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La mia stirpe, di Ferdinando Camon

Il protagonista – lo stesso Camon – de’ La mia stirpe , appena uscito per Grazanti, viene svegliato nel cuore di una domenica notte da una telefonata che notoriamente, quando squilla a quell’ora, non porta mai buone notizie. Il padre è finito in ospedale a causa di un ictus con conseguente paralisi, ma, grazie a un alfabeto, riesce a comunicare al figlio più grande il suo ultimo desiderio: vuole vedere il papa. Lo voleva suo padre, lo vuole lui. «”La guerra è una strage inutile” diceva il Papa di mio nonno, Benedetto XV, e mio nonno faceva un voto: Se sopravvivo, vado a Roma a trovarlo”». È questa la molla che fa partire la storia. Apparentemente si tratta di raccontare del nonno, dell’amore dei suoi genitori e, in qualche misura, di lui stesso e i suoi figli. La sua stirpe, appunto. «Nostro padre era stato in guerra su diversi fronti, Grecia e Jugoslavia, ma aveva inventato mille astuzie contadine per non sparare e farsi rimandare a casa, e alla fine c’era riuscito con l’astuzia più contadina di tutte: aveva già tre figli, e al fronte, in prima linea, si iniettò dell’acqua infetta in un ginocchio, il ginocchiò si infiammò, gli diedero una licenza, durante la licenza mise incinta la moglie, e quando nacque il quarto figlio fu congedato, in base a una legge Mussolini». Con uno stile asciutto, essenziale e, in questo senso, implacabile, quello che Camon ci racconta è il Novecento tutto: due guerre devastanti e tragicamente stupide, una fatta in nome di «Avanti Savoia!» e l’altra in nome del duce; i partigiani e tutto quanto ne è seguito; «nei libri, le battaglie hanno nomi che i soldati non conoscono. I soldati, meno sanno meglio combattono»; racconta la fine di un mondo prevalentemente contadino e tenace che continua in un altro, molto meno nobile, il nostro. Insomma, la verità è

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