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Poesie d’amore: La tessitrice, di Giovanni Pascoli

Vi è mai capitato di pensare a qualche amore dei “vecchi” tempi? Come starà ora quella ragazza che tanto vi faceva battere il cuore? E quel ragazzo che vi faceva arrossire anche al solo guardarlo? Gli amori di gioventù, i ricordi dei primi baci… Giovanni Pascoli, di cui quest’anno ricorre il centenario della morte , nella poesia La tessitrice ci racconta di una vecchia fiamma che lavorava al telaio. Quanti anni sono passati da quegli amori? Cosa farà ora la bella tessitrice? La risposta sarà amara. La tessitrice Mi son seduto su la panchetta come una volta… quanti anni fa? Ella, come una volta, s’è stretta su la panchetta. E non il suono d’una parola; solo un sorriso tutta pietà. La bianca mano lascia la spola. Piango, e le dico: Come ho potuto, dolce mio bene, partir da te? Piange, e mi dice d’un cenno muto: Come hai potuto? Con un sospiro quindi la cassa tira del muto pettine a sé. Muta la spola passa e ripassa. Piango, e le chiedo: Perché non suona dunque l’arguto pettine più? Ella mi fissa timida e buona: Perché non suona? E piange, e piange – Mio dolce amore non t’hanno detto? Non lo sai tu? Io non son viva che nel tuo cuore. Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso per te soltanto; come, non so; in questa tela, sotto il cipresso, accanto alfine ti dormirò. – Foto | Nick.Allen – ken2754@Yokohama Poesie d'amore: La tessitrice, di Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nel centenario della morte

Cent’anni fa, il 6 aprile 1912, moriva a Bologna Giovanni Pascoli , il primo grande poeta italiano contemporaneo. Aveva cinquantasette anni. Come si è soliti dire, Giovanni Pascoli o si ama o si odia, non ci sono mezze misure. Del resto, bisogna ammetterlo, il suo modo di vedere la realtà, con la valorizzazione del particolare e del quotidiano, si scontra con un certo tipo di insegnamento scolastico che, facendo imparare a memoria le sue poesie, le trasforma in una sorta di stucchevoli filastrocche per lo più noiose e, per molti, senza senso. Di Giovanni Pascoli ebbe a scrivere il critico letterario Cesare Garboli: Entrare nell’orizzonte pascoliano, senza esserne complici, è un’esperienza simile a una tortura; ma, una volta entrati, fatto il primo passo, chiudere l’argomento e tagliare la corda è impossibile: le viscere pascoliane non hanno fine, perché non hanno forma. Per provare a essere un po’ complici del Pascoli, e per celebrare il “poeta vate” nel centenario della morte, vi riportiamo una sua poesia: Ultimo sogno , che chiude la raccolta Myricae . Da un immoto fragor di carrïaggi ferrei, moventi verso l’infinito tra schiocchi acuti e fremiti

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Giovanni Pascoli nel centenario della morte