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"Scimmie" di Alessandro Gallo

Lo abbiamo atteso, corteggiato, accarezzato sulla copertina immaginaria che ancora non potevamo tenere fra le mani, lo abbiamo persino visto conquistare dei premi, prima di poterlo assaporare fin nel cuore, cosa che finalmente è accaduta. Poi è arrivato davvero, aperto sul golfo, ferito come il nucleo della città che rappresenta. Quando quasi non me l’aspettavo mi si spalancato davanti, come la brezza che sorvola il centro storico. Alessandro Gallo è nell’anno dei suoi ventisei, la stessa età nella quale il giornalista Giancarlo Siani venne ucciso. Era il 1985 e Gallo all’epoca non era nemmeno nato. Ma questi sono dettagli che nel novero delle esperienze contano poco e niente. Soprattutto a Napoli. Perché è proprio lì che i due si sono incontrati su carta. E lo hanno fatto nella scrittura, nelle parole amare e contate di “Scimmie” , il nuovo romanzo del giovane autore partenopeo. Il loro è un fronteggiarsi mediato che passa attraverso le vicende di tre quindicenni, adolescenti catturati nell’escalation di violenza che attanaglia la città. Pummarò, Panzarotte e Bacchettone hanno un solo desiderio, diventare potenti e rispettati e, a un certo punto, penseranno anche di esserci riusciti, finché qualcuno non la pagherà cara. Ed ecco Siani, una specie di strano custode che quella melma torbida ha scelto di denunciarla. Pazzo, sognatore e visionario. Sarà proprio lui ad aprire un rapido barlume di speranza in un orizzonte di desolazione. […] Eravamo allergici. E le nostre prede scappavano, a suon di musica dance, con i nemici delle auto sportive, quelli delle tipe in minigonna e gli alettoni color blu cobalto. Solo nel nostro recinto, come dei maiali che giocano con il fango, condividendo letame e scarti di cibo, avremmo potuto conquistare anche la donna del capo clan, ma una volta usciti dal rione, una volta lasciata la nostra panchina, ci trasformavamo in cani bastonati. Piccoli ‘e male ‘ncavate, ci dicevano i nonnetti del circolo che costeggiava la panchina. Il branco era unito, ma la nostra non era altro che una solidarietà da pezzenti che si sostengono, da quindicenni che volevano sembrare come i loro …

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"Scimmie" di Alessandro Gallo

Scimmie, la Napoli di Alessandro Gallo convince ancora e conquista il Concorso Giri di parole

17 Settembre 1985. Ricordo quella sera come se fosse ieri. Eravamo lì: io, Franco e Tore. Solita panchina, solita serata ad atteggiarci a grandi, a fingerci di essere i padroni di quella piazza e di tutto ciò che passava da li. Cristiani e animali. – Uagliò, che cazze tiene ‘a guardà. Saje chi comanda quà!? E bastava che il ragazzo facesse vedere la sua paura che diventava un pupazzo nelle mani di una comitiva di scimmie arrabbiate. Alessandro Gallo lo conosce veramente quel Rione Traiano tristemente famoso che fa da sfondo alla sua storia, ne ha respirato la polvere fino al fondo dei polmoni. Il suo Scimmie è un romanzo di formazione, i protagonisti sono “picari un po’ cresciutelli”, ragazzini “piccoli ma cazzuti” venuti su a confetti, merendine (rigorosamente made in Caivano) e provola, quando “a zupp è latte” non era più di moda. Mezz uommen che tra riti di passaggio e degrado, costeggiano il confine cruciale con l’età adulta. Solo che la loro iniziazione è particolare come il luogo nel quale sono cresciuti. Non ne parlo adesso solo perché credo valga la pena di leggerlo (cosa che evidentemente penso per chi non lo avesse ancora capito), ne perché a Napoli ho vissuto l’adolescenza come i ragazzi descritti da Gallo o perché sento sempre di avere una sorta di debito, verso quell’insieme incoerente e vulcanico che, nel mio immaginario, coincide con il capoluogo partenopeo e che mi si riaccende dentro come una febbre residua, anche adesso che sono lontana. Scimmie è tra queste righe perché ha ottenuto il riconoscimento del Concorso Letterario Giri di Parole 2011 , sezione romanzi, indetto da Navarra Editore punto e a capo. Non resta che aspettare che sia pubblicato. Via | NavarraEditore.it Scimmie, la Napoli di Alessandro Gallo convince ancora e conquista il Concorso Giri di parole

Libri & sociale: dai sopravvissuti di Marcinelle a Capodarco e la monnezza

In questi giorni in cui, vicino Roma, è ancora in corso il Salone dell’Editoria dell’impegno (si trova a Grottaferrata) mi fa piacere segnalare alcuni titoli che affrontano personaggi e realtà di interesse sociale, usciti in questi giorni. Paolo di Stefano, un bravissimo giornalista del Corriere della Sera, ha messo elmetto e divisa e si è calato, anche fisicamente, nei pozzi profondissimi della miniera belga di Marcinelle, dove a metà degli anni ‘50 morirono 262 persone, di cui 136 italiani. Dall’ascolto dei minatori sopravvissuti, figli, mogli, dei morti è nata la sua ricostruzione La catastrofa, Marcinelle 8 agosto 1956 (Sellerio editore Palermo), in cui il nostro si è “immerso” metaforicamente nel racconto di chi non ha mai dimenticato. “(…) La grandezza del Progetto Sud, sta nel fatto che ha nel proprio dna i cromosomi sani per dare al paese una forma nuova, una visione differente da quella che ha avuto finora. Progetto Sud ha una nuova, diversa abilita’ nel dare speranza e futuro al paese”. Con queste parole invece…

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Libri & sociale: dai sopravvissuti di Marcinelle a Capodarco e la monnezza