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Il viaggio di Vittorio. A novembre il libro della madre di Arrigoni

«…domenica scorsa ero a Nazareth. Percorro strade che rappresentano la nascita, il viaggio esistenziale, il miracolo, il calvario di un Dio che di queste terre sembra essersi scordato. Lo faccio anche per te, mummy, per quella devozione fanciullesca…». Vittorio Arrigoni (Besana in Brianza, 4 febbraio 1975 – Gaza, 15 aprile 2011) era “solo un ragazzo”. Né un politico né un cavaliere del lavoro, certo. Si occupava di diritti umani ma non aveva un comodo posto alla Fao. Gli hanno scattato tante foto in mezzo ai bambini nelle pose in cui siamo abituati a vedere tanti Vip nella loro ostentata solidarietà al Terzo Mondo, però a lui nessuno aveva chiesto di diventare – come ormai di moda – ambasciatore Unicef per la sua visibilità nel mondo dello spettacolo. Neanche sappiamo se avesse una vocazione artistica particolare, e non ci ha lasciato, a quanto si sappia ad oggi, nessuna opera filosofica o letteraria incompiuta, eppure l’Italia, e il mondo, dopo due anni ancora non riesce a dimenticarlo, per un’unica sua frase: Stay human. Restiamo umani . Che ci scuote, ci butta davanti agli occhi l’enormità del baratro d’orrore che stiamo scavando con le nostre stesse mani, che sembra voler chiederci di fermarci almeno un attimo prima di caderci dentro. Ed è con piacere che segnaliamo allora che Dalai editore a novembre manda in libreria Il viaggio di Vittorio, firmato dalla madre Egidia, con cui Vittorio era molto unito, “come idee, obiettivi e ideali, sono molto orgogliosa di lui, è sempre stato così» Vittorio, scrive lei «Non è un eroe né un martire, solo un ragazzo che credeva nei diritti umani. Eravamo lontani, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passando il testimone. Restiamo umani.» E noi aspettiamo di leggerlo, come tanti dovrebbero, perchè davvero, come diceva lui, …

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«…domenica scorsa ero a Nazareth. Percorro strade che rappresentano la nascita, il viaggio esistenziale, il miracolo, il calvario di un Dio che di queste terre sembra essersi scordato. Lo faccio anche per te, mummy, per quella devozione fanciullesca…». Vittorio Arrigoni (Besana in Brianza, 4 febbraio 1975 – Gaza, 15 aprile 2011) era “solo un ragazzo”. Né un politico né un cavaliere del lavoro, certo. Si occupava di diritti umani ma non aveva un comodo posto alla Fao. Gli hanno scattato tante foto in mezzo ai bambini nelle pose in cui siamo abituati a vedere tanti Vip nella loro ostentata solidarietà al Terzo Mondo, però a lui nessuno aveva chiesto di diventare – come ormai di moda – ambasciatore Unicef per la sua visibilità nel mondo dello spettacolo. Neanche sappiamo se avesse una vocazione artistica particolare, e non ci ha lasciato, a quanto si sappia ad oggi, nessuna opera filosofica o letteraria incompiuta, eppure l’Italia, e il mondo, dopo due anni ancora non riesce a dimenticarlo, per un’unica sua frase: Stay human. Restiamo umani . Che ci scuote, ci butta davanti agli occhi l’enormità del baratro d’orrore che stiamo scavando con le nostre stesse mani, che sembra voler chiederci di fermarci almeno un attimo prima di caderci dentro. Ed è con piacere che segnaliamo allora che Dalai editore a novembre manda in libreria Il viaggio di Vittorio, firmato dalla madre Egidia, con cui Vittorio era molto unito, “come idee, obiettivi e ideali, sono molto orgogliosa di lui, è sempre stato così» Vittorio, scrive lei «Non è un eroe né un martire, solo un ragazzo che credeva nei diritti umani. Eravamo lontani, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passando il testimone. Restiamo umani.» E noi aspettiamo di leggerlo, come tanti dovrebbero, perchè davvero, come diceva lui, …

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Il curioso caso di Benjamin Button di F. S. Fitzgerald

Abbiamo riletto in anteprima un grande classico della letteratura, un cortoromanzo che sarà in libreria per Leone Editore con testo inglese a fronte, a partire dal 24 aprile. Ed un fiume di ricordi si è fatto velocemente spazio tra le pieghe del racconto. Un rapido scorrere di suggestioni e di domande suscitate dallo straordinario evento di una vita al contrario che simbolizza l’estraneità, la vertigine che ci coglie nel momento in cui le cose non si passano come previsto e ci si ritrova a dover fare i conti con una realtà a dir poco fuori dall’ordinario. E’ quello che succede a Roger Button, commerciante di Baltimora che scopre di aver dato la vita ad un uomo che, a giudicare dall’aspetto e dalla parlantina, potrebbe essere suo padre. Un paradosso inspiegabile del quale non c’è traccia negli annali e che fa del neonato una specie di fenomeno da baraccone. La città parla e le voci avvelenano la vita ma, con il passare del tempo ci si renderà conto che per il nuovo arrivato Benjamin le lancette dell’orologio sembrano scorrere al contrario e giocare con la sue età che procede invertita rispetto alle evoluzioni corporee. E per chi avesse scoperto la storia solo al cinema, c’è da aggiungere che la narrazione di Fitzgerald che ha ispirato il film con Brad Pitt nel ruolo di Benjamin, ha l’inestimabile pregio di scolpire un affresco sociale di una certa America degli ultimi decenni del XIX° secolo , spingendosi fino alla prima guerra mondiale e anche leggermente oltre. In lontananza, in fondo alla strada, comparvero le luci della casa di campagna degli Shelvin, poco dopo sentirono in sottofondo un brusio persistente che si avvicinava a loro lentamente, poteva essere il dolce lamento dei violini o il fruscio del grano argentato sotto la luna. Si fermarono dietro a una carrozza coperta, i cui passeggeri stavano scendendo davanti all’ingresso. Uscì una signora, poi un gentiluomo più anziano, poi un’altra giovane donna, bella come il peccato. Benjamin trasalì. Un …

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Le news del New York Times diventano poemi haiku

L’esperimento letterario del New York Times ricava piccoli poemi haiku pescando parole tra le news del giorno. Una pagina Tumblr, questo è l’ultimo esperimento del New York Times per far parlare un po’ di sè -cosa che sta funzionando molto bene- e già che ci siamo per diffondere modi alternativi di fare e fruire cultura. Il nome è Times Haiku – Serendipitous poetry from The New York Times ed è un’idea di Jacob Harris, creatore di un algoritmo (in perpetuo perfezionamento, come un vero filosofo orientale) il cui compito è attingere

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Le news del New York Times diventano poemi haiku