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Martha Medeiros, angoli di poesia urbana in quel di Napoli

Angoli di poesia urbana spuntano un po’ ovunque nei tessuti cittadini italiani ed esteri, una testimonianza partenopea. Dopo Prévert sull’asfalto di Milano ci siamo imbattuti in un pannello luminoso a due passi dal caos del centro di Napoli , sulla scala che porta dritta ai treni della stazione Porta Nolana della Circumvesuviana , la rete ferroviaria locale che serve (non sempre nel miglior dei modi ad esser sinceri) la cintura dei comuni vesuviani, collocati come dice il nome, a mo’ di anello intorno a Vesuvio e a due passi dal mare, si possono scoprire inaspettati scorci lirici. Eccovi infatti qualche immagine dei noti versi dell’ Ode alla Vita di Martha Medeiros , indicazioni semplici eppure sempre così vere, sul senso più intimo dell’esistenza e sulla conservazione del significato più profondo che è sempre frutto di una ricerca inarrestabile. Il testo, spesso erroneamente attribuito a Pablo Neruda , appartiene in realtà all’estro e alla sensibilità della giornalista e scrittrice brasiliana classe 1961. Tratto da una sua poesia del 2000 (titolo originale “A Morte Devagar”). Ve la riportiamo a colpi di spezzoni, riuniti in quattro quadranti costruiti sullo sfondo di un paesaggio acquatico verdeggiante, per restituire alla vera autrice le sue parole e a tutti noi una leggera pausa di riflessione concentrata intorno alla domanda “Chi muore?” . Quadro 1 Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia di vestire un colore nuovo, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero al bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’…

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Self publishing: c’è dietro la pigrizia degli aspiranti scrittori?

Autopubblicarsi? È come ammettere di essere troppo pigri per fare il “lavoro sporco”. Così inizia una polemica sul Guardian rispetto agli autori che decidono (a volte, oltremanica, con successo) di pubblicare da sé i propri testi rivolgendosi al vasto pubblico. Spesso, dice la giallista Sue Grafton (nella foto), si tratta di dilettanti, come uno studente che spera di riuscire a eseguire uno spartito musicale di base chiedendosi se è pronto per esibirsi a Canergie Hall. Il paragone è molto ficcante, ma è interessante chiedersi in cosa consista questo “lavoro sporco” da cui gli autori che si auto-pubblicano vogliono esimersi. Consiste ad esempio, nel prendere rifiuti, imparare la lezione e lavorare l’opera per un periodo continuativo di tempo. L’autrice sembra parlare a ragion veduta, visto che i suoi tre primi romanzi sono stati tutti rifiutati dagli editori a cui li ha proposti. Succede invece che spesso chi arriva solo a completare un romanzo subito si senta subito pronto “pronto per la fama e la fortuna che è sicuro di meritare”. Invece bisogna imparare a costruire personaggi narrativi, ad esempio, dice, così come lavorare su un equilibrio con le parti descrittive. E poi, i dialoghi richiedono molto tempo. “Non si tratta di un facile progetto casalingo fai da te ”, cosa che lasciano credere i sistemi per l’autopubblicazione, che funzionano poco, continua “se applicati all’arte”. Ma sentiamo anche l’altra campana, ovvero un autore (Adam Croft) che in Inghilterra si autopubblica anche con discreto successo, secondo il quale l’accusa di pigrizia è “oltraggiosa”. “E’ vero il contrario – dice – autopubblicarsi significa trovare il tuo editore, il tuo disegnatore di copertina – o farlo da soli – far da soli tutto il lavoro di marketing e vendita etc…Avere un editore è pigrizia, perchè tutto quel di cui hai bisogno è scrivere un libro accettabile e permettere che il tuo editore lo renda vendibile”. Cosa che, dice, …

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Libros de Eloisa, una storia di coraggio per le piccole case editrici

E’ una piccola storia, che si esaurisce in poche righe, eppure a guardarla con occhi sgombri suggerisce davvero tanti pensieri. Li suggerisce a chi è abituato a districarsi fra eterne lamentele delle piccole case editrici sulle loro difficoltà di “stare sul mercato”. Li suggerisce a chi, come me, è abituato a registrare l’illusoria speranza delle stesse di “emergere” tramite titoli-shock, o peggio speculazioni su personaggi più o meno famosi. Senza considerare le giustificazioni di chi, in questo campo, chiede soldi agli autori perchè senza il loro contributo economico “proprio non ce la fa”. Questa è infatti la piccola – e felice – storia di una piccola casa editrice nata per la passione di uno scrittore, Washington Cucurto, che

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Internet, sempre di più una "bussola" per le nostre letture

I libri sono il quarto genere merceologico più comprato su Internet dagli italiani. Lo dice una ricerca Nextplora, secondo la quale i più acquistati on line dagli utenti del web dai 16 anni in su sono viaggi (31%) biglietti aerei e ferroviari (30%) apparecchi elettronici e informatica (25% circa) e libri (22%). Sappiamo bene che la libreria rimane, per ora, il canale di acquisto di libri preferito (65% dei lettori li acquista fra gli scaffali) e che per ora gli acquisti di libri si limitano al 10%, per ora, ma il dato mi sembra molto significativo, perchè i libri seguono a ruota tre tipi di prodotti e servizi che hanno visto un vero e proprio boom delle vendite on line. Rilevante anche il dato su come si arriva a comprare un libro sul web: ovvero, attraverso una preventiva consultazione di portali, piattaforme e-commerce, social network e blog specializzati, come sostiene la ricerca. La navigazione on line si trasforma nell’acquisto di un libro nei due terzi dei casi. E’ facile immaginare l’importanza – per editori e autori di

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