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Thomas Cotton Jones, un diario che attraversa il tempo

Capita spesso che scritti, cartoline, quaderni ed affini vengano inseriti in esposizioni dedicate ad illustrare periodi storici, tematici o interrogativi, è più raro che alcuni protagonisti di tali documenti si ritrovino faccia a faccia con parole che arrivano loro dopo aver attraversato immani distanze temporali e spaziali. Ecco perché la vicenda che stiamo per raccontarvi ha un che di straordinario e gira intorno ad un vecchio diario. Si tratta del libricino sul quale il caporale Thomas Cotton Jones caduto a soli ventidue anni nel settembre del 1944 per mano di un cecchino giapponese su un’isola del pacifico, aveva scritto delle sue esperienze sul campo, testimoniando il suo amore fin nelle ultime volontà: Please give my diary to Laura Mae Davis, the girl I love. Un messaggio esaudito, ma solo a parecchi decenni di distanza, quando la novantenne Laura Mae Davis Burlingame , ansiosa di rivedere alcune foto ed oggetti appartenuti al suo antico amore, si è recata in visita al New Orleans museum , dove ha letto il suo nome sul diario ed è stata letteralmente sommersa dall’emozione. Perché l’anziana donna non sapeva che uno dei pezzi forti dell’esposizione portava su proprio il suo nome, perché era stata proprio lei giovanissima innamorata sui banchi della Winslow High School, a donarlo a Thomas insieme ad una sua foto. Eric Rivet , il curatore della mostra, commosso dall’accaduto ha cosi’

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Thomas Cotton Jones, un diario che attraversa il tempo

Le più belle biblioteche universitarie. Classifica completa parte seconda

Non potevamo certo lasciarvi a metà…e non soddisfare pienamente la curiosità di chi attendeva con impazienza di conoscere le altre “fortunate” elette dalla classifica delle più belle biblioteche universitarie secondo Flavorwire . Eccovi le dodici restanti. Escludendo i casi onnipresenti, come la Sorbona, Oxford, Berkeley e Harvard, certi nomi potrebbero apparire meno noti rispetto a quelli della prima parte , ma bisogna ammettere che si tratta di biblioteche dall’incantevole bellezza, che non ci esimono dalla delusione riguardo alla sola presenza italiana, per di più relegata alla ventesima posizione. Abbiamo pertanto deciso di rimediare “all’italica assenza” (o

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Al via ieri negli States la Banned Books Week, ma sono ancora molti i libri proibiti in U.S.A.

Purtroppo una delle cose che sembra non passare mai di moda nella storia è la redazione di liste nere di libri da condannare, libri da bruciare, da nascondere, libri ritenuti nocivi per i lettori, libri pericolosi da censurare a tutti i costi. Dopo l’abdicazione del Vaticano a ruolo di nazione principe della censura – avvenuta, ci tengo a precisarlo, nel 1966 con l’abolizione dell’Indice dei libri proibiti ad opera di Paolo VI – a prendere il suo posto ci han pensato gli Stati Uniti d’America, che da allora, nonostante i tentativi di rubare loro la scena non siano mai mancati, sono sempre riusciti a detenere il triste primato grazie alla loro lista dei libri proibiti. E’ per questo che negli Stati Uniti, a partire dal 1982, si organizza una volta all’anno la settimana del Libro …

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John Brockman: Einstein secondo me

Bollati Boringhieri pubblica il volumetto Einstein secondo me , che mi ha colpito per curatore, John Brockman. Se il nome vi è sconosciuto, fate un salto su Edge.org , il forum dove da anni Brockman stimola la discussione tra le menti più acute del mondo scientifico. E’ famosa la domanda che ogni anno pone a questa élite, che risponde con una straordinaria visione collettiva dalla prospettiva di chi vede da vicino il nostro futuro. Tornando a noi, dal volume in uscita rubiamo per voi in anteprima un passaggio dell’introduzione di Brockman, gentilmente concessa dall’editore. Leggete nel seguito questo bello scorcio di vita americana. E per me? Chi è Einstein? Ricordo il momento in cui seppi della sua morte. Mi arrestai bruscamente davanti al titolo di un giornale in un’edicola nella metropolitana di Boston. Avevo quattordici anni. Fu un attimo devastante, in cui provai autentico dolore e senso di perdita. A quei tempi la mia famiglia si era già trasferita nella relativa pace e tranquillità dei quartieri residenziali, ma per i primi dieci anni di vita avevo dovuto imparare tattiche di sopravvivenza nell’«altra» Boston, a chilometri di distanza dalle eleganti barche a vela sul fiume Charles, la cupola d’oro brillante della State House su Beacon Hill, la bellezza serafica di Harvard, l’architettura audace del MIT. Crebbi a Dorchester negli anni quaranta. Era un quartiere duro, difficile, in cui, prima della Seconda guerra mondiale, padre Charles E. Coughlin, il famigerato «Radio Priest», sguinzagliava dei camioncini per le strade a diffondere le sue prediche antisemite. Quella campagna aveva contribuito a trasformare Dorchester in un terreno di battaglia tra i ragazzini irlandesi e quelli ebrei, in forte minoranza. I tre isolati che dovevamo percorrere a piedi per recarci alla William E. Endicott School su Blue Hill Avenue erano una corsa a ostacoli quotidiana. Mio fratello Philip, che aveva tre anni più di me, doveva difendersi e proteggere anche me. La sensazione di vulnerabilità era acuita…

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