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Una poesia per la domenica. Nazim Hikmet

Un momento di pura vita e consapevolezza di sè, nel sole, ecco la prima domenica fuori di prigione di Nazim Hikmet. E in quel ritaglio di libertà della vita solo poco può importare, il corpo riprende con prepotenza le sue priorità dopo la lunga costrizione: la terra, il sole e me. E a noi, cosa serve per realizzare finalmente quanto sia vasto il cielo? Oggi è domenica. Per la prima volta mi hanno portato al sole oggi E per la prima volta nella mia vita sono rimasto esterrefatto che il cielo sia così lontano e così blu e così vasto che sono rimasto senza muovermi. Poi mi sono seduto sul suolo e con rispettosa devozione appoggiato al muro bianco. Chi se ne frega le onde dove anelo a rotolare O dei conflitti o della libertà o mia moglie in questo momento. La terra, il sole e me … Mi sento felice e tanto (N. Hikmet, Oggi è domenica) Una poesia per la domenica. Nazim Hikmet

Una poesia per la domenica. Wallace Stevens

“Compiacimenti della vestaglia, e tardo/caffè e arance in una sedia assolata”. Quanto mi fa domenica questa poesia dell’inglese Wallace Stevens (1879-1955), nei suoi primi versi. Serpeggia in sottofondo la commemorazione sacrificale cristiana, percepita come ‘buia invasione di quella vecchia catastrofe”. La giornata, nella domenica di Stevens, è come ‘acqua vasta, senza suono’. Compiacimenti della vestaglia, e tardo caffè e arance in una sedia assolata, e la libertà verde di un cacatua su un tappeto si mescolano per dissipare il silenzio sacro del sacrificio antico. Lei sogna

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Una poesia per la domenica. Wallace Stevens

Una poesia per la domenica. Ada Negri

La riflessione poetica di questa domenica è affidata ai versi di Ada Negri (1870-1945), che si interroga sul tempo, su cosa resta di noi nei luoghi che abbiamo solcato nella nostra giovinezza. In quei luoghi, spiega, è rimasta come un vapore la vita che ci abbiamo vissuta: tornandoci, possiamo riviverla. La vergine ventenne ch’io fui, splendente come torcia accesa nel sole, ora dov’è? Del suo bel sangue nutriva ogni atto dell’acerba vita; e dalla gola, liberato in canto, le sgorgava echeggiando a monte e valle. Ove scomparve, ella che fu sì certa di non morire? Non morì. Rimasta è nella scabra terra presso il fiume che mormora e serpeggia in tortuose spire oltre le grandi foreste: intatta giace fra tremolii di fronde e scorrer d’acque. Al suo rifugio gli uomini dei boschi vengon con felci e rami di betulle: e il battellier che approda dall’altra sponda, fasci d’alghe e steli d’erbe apporta, raccolti sulla riva. Calmo è il sonno di quella ch’io già fui nella terra che suona ancor del canto de’ miei vent’anni – e, sole o pioggia

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