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Le 13 cose, di Alessandro Turati

Le 13 cose è il primo romanzo di Alessandro Turati ed è pubblicato dalla Neo. edizioni (che faceva parte dei Nuovi Editori Indipendenti al recente Salone del Libro di Torino). Sul sito della casa editrice così troviamo riassunto il libro: 13 sono le cose da fare. Le ha segnate Emilie su un foglio di carta otto anni fa. Da allora, Alessio lo tiene sempre in tasca. Ogni tanto lo apre e lo legge come fosse un rituale, un esercizio da fare per sopportare un’assenza. Si dice che il problema sia di chi resta, non di chi se ne va. Emilie se n’è andata, portata via da un cancro. Alessio le è sopravvissuto. Sono passati otto anni ed è ora che tutto ha inizio. Turati è veramente bravo nel condurci nei vari trip mentali del protagonista del romanzo ed è difficile scrivere di questo romanzo senza dire troppo. Per questo, in linea con il titolo, faccio il mio elenco di tredici motivi per cui vale la pena di leggerlo. È scritto bene, molto bene. È un romanzo strano, che all’inizio forse non riesci a comprendere ma poi se ti lasci prendere dalla narrazione riesci ad annodare tutti i fili. È un unico romanzo, ma le storie narrate sono tante, più di tredici. Inizi a leggerlo con un sorriso, poi lo chiudi perché non ci capisci più nulla, ma poi sei costretto ad aprirlo perché ti chiedi in continuazione cosa c’entri quel cadavere del primo capitolo con le “prove di schizofrenia” scritte prima del capitolo iniziale. L’avvertenza all’inizio (a mo’ di bugiardino dei medicinali) è preziosa: “L’autore di queste scempiaggini ha quasi 30 anni. Per questo motivo il seguente testo è privo di contenuti. Voi direte: La motivazione non regge! D’accordo”. Perché il testo è disseminato di battute assurde e demenziali che mi sono rimaste impresse. Una? “Quando un australiano compra un boomerang nuovo, come fa a buttare via quello vecchio?”. Si tratta di un libro sporco (non nel senso di porno!), che racconta …

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Le 13 cose, di Alessandro Turati

Palace of the end, di Judith Thompson

Un libro “brutale” per uscire un po’ dalla logica troppo melliflua e commerciale del Natale. La canadese Judith Thompson – docente di Teatro e Arte Drammatica presso l’Università di Guelph, in Ontario – in Palace of the End scrive tre monologhi che ruotano intorno all’Iraq. Tre monologhi con tre personaggi emblematici che, nelle loro storie particolari, si incontrano-scontrano con la grande Storia. Ne Le mie Piramidi è Lynndie England che racconta, lei, la soldatessa americana famosa per le foto in cui sevizia i prigionieri nel carcere di Abu Ghraib e, con i loro corpi, costruisce delle piramidi; il protagonista del monologo Harrowdown Hill è, invece, il timido scienziato David Kelly, che ha prima fornito le prove dell’esistenza di armi di distruzioni di massa in Iraq e poi ha dichiarato che era tutto un falso; ne Gli Strumenti della Bramosia , Nerjas Al Saffarh – nome che significa giunchiglia e indica un fiore – racconta la sua storia di attivista irachena torturata dalla polizia segreta di Saddam Hussein negli anni ‘70, e uccisa, poi, durante i bombardamenti americani nella prima guerra del Golfo. Tre storie che si confrontano con la Storia e invitano a riflettere di cosa sia capace l’essere umano, con la “passione” di cui sono capaci: La violenza è una componente costante nelle opere di Judith Thompson. In ogni caso la violenza che lei propone non è solo un sentimento negativo, ma è spesso usato come enfasi estrema di un’emozione. I suoi personaggi sono violentemente felici, violentemente crudeli, violentemente tristi, insomma, violentemente vivi. Molto accurata la traduzione di Raffaella Antonelli che, in una nota molto precisa, illustra quali sono state le difficoltà incontrate nel rendere il testo dall’originale in italiano. Molto curata l’edizione italiana della Neo , con le illustrazioni anche in II e III di copertina. Personalmente avrei preferito il testo inglese a fronte di quello italiano, in modo da poterli scorrere entrambi nella lettura e non alla …

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Palace of the end, di Judith Thompson

Libri per Natale (per menti aperte): E morirono tutti felici e contenti. Fiabe non più fiabe

Le operazioni di destrutturazione mi piacciono perché, oltre a rendere visibile il “lavoro” che c’è sotto (a un testo, a un prodotto, a un evento), permettono anche di apprezzare le mille variazioni che possono esistere. È stato pertanto il sottotitolo – Fiabe non più fiabe – ad aprirmi la strada alla lettura di E morirono tutti felici e contenti , a cura di Massimo Avenali , pubblicato per i tipi delle Edizioni Neo. Nell’antologia – composta da diciotto “non più fiabe” che rileggono “fiabe” classiche – troviamo “una silloge di stili originali che si dimenano per sgretolare le false certezze, per tramutare il personaggio principale di un Grimm o chi per lui in un antieroe moderno, perché basta mettere il naso fuori dalla porta per trovarne a manciate […] Queste narrazioni saranno come un colpo violento alla testa, una botta che al contempo avrà la proprietà di essere stordente e chiarificatrice”. Come faccio solitamente con i libri di racconti, mi sono lasciato guidare dalle…

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Libri per Natale (per menti aperte): E morirono tutti felici e contenti. Fiabe non più fiabe