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5 anni fa hanno ucciso Anna Politkovskaja. Evviva Anna Politkovskaja!

Il giornalismo è una professione pericolosa, lo si sa. Soprattutto se lo si vuole fare bene, se si è mossi da uno spirito libero, da una onestà intellettuale inattaccabile e da un odio inveterato contro i soprusi e le ingiustizie del potere o di chi ne fa le veci. Anna Politkovskaja , giornalista e scrittrice, questo lo sapeva molto bene. Sapeva di rischiare la vita facendo quello che amava, come sapeva di far rischiare la vita anche ai suoi contatti, in Cecenia come a Mosca. C’è una frase che Anna scrisse un paio d’anni prima della propria morte che da l’idea delle esatte dimensioni di questa sua consapevolezza: Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare Eppure la giornalista russa ha sempre cercato di non arretrare di un passo, malgrado le minacce che riceveva continuamente dal potere e dai suoi scagnozzi. Perché Anna Politkovskaja, come molti altri giornalisti in tutto il mondo, dava fastidio al suo paese, alla Russia. Invece di essere il fiore all’occhiello della società era una reietta. E’ lei stessa che lo dice, in un articolo pubblicato dopo la sua morte: Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista …

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Cose da salvare in caso di incendio, di Haley Tanner

Chissà, pensa, se qualcuno ha mai parlato a Lena delle cose femminili di cui lei parlerebbe a sua figlia, se ce l’avesse…Si chiede se Lena sente la mancanza di una madre e poi si rende conto della sciocchezza. E’ naturale che la senta. E’ difficile collocare Lena mentalmente: è difficile sapere cosa fare di tanta compassione. Non so se capita anche a voi (ma penso sia piuttosto normale) di fantasticare sulla vita degli autori di un romanzo, su come la loro esistenza abbia influenzato …

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Voci dal Festivaletteratura di Mantova/1: un’intervista a Paolo Nori

Ieri si è conclusa la quindicesima edizione del Festivaletteratura di Mantova , un’edizione come al solito ricca di eventi e di autori provenienti da tutto il mondo. Questa intervista è la prima di una piccola serie che pubblicheremo su queste pagine nei prossimi giorni. Si tratta di brevi interviste, conversazioni avute in questi giorni con alcuni degli autori presenti al Festival che ci hanno concesso qualche minuto del loro tempo. Questo primo episodio della serie è dedicato a Paolo Nori uno degli scrittori più sorprendenti degli ultimi anni: autore prolifico di romanzi scoppiettanti, l’ultimo dei quali si intitola La meravigliosa utilità del filo a piombo, ed è pubblicato da Marcos y Marcos; ha tradotto dal russo…

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Le gioie del self publishing. La storia del primo che l’ha fatto

Sul New York Times viene ricordata la storia del primo “pioniere” dell’autopubblicazione, un fenomeno che sta diventando molto di moda anche da noi. Si trattava – nel non tanto lontano 1995 – di un tecnico riparatore di televisioni ormai in pensione, Boris B. Gursky, immigrato inglese dall’Ucraina e afflitto da cancro alla prostata. Un editore per un tot di dollari (a seguito di un suo annuncio sul Reader’s Digest) gli inviò un kit per autopubblicare la sua opera. Era la prima volta che un editore metteva a disposizione di uno sconosciuto i mezzi per diventare “editore di se stesso”. E Gursky? Investì molto dei risparmi di una vita (circa diecimila dollari) per dare alle stampe “The perilous life of B.B.Gursky”, la sua autobiografia. D’altronde, l’autopubblicazione nasce per dare spazio – oltre che, in alcuni casi, alle proprie insulse velleità artistiche -all’espressione di sè, alle proprie memorie (ha fatto notizia l’autore che in edicola continua a vendere con successo le memorie di suo nonno soldato in Russia). Sinceramente, la parte di storia che mi fa più tenerezza è la scelta dei soggetti a cui lui volle spedire il racconto di una vita da immigrato: trovò sull’elenco telefonico gli indirizzi di tutti coloro che avevano il suo stesso cognome, e mandò il libro (150 pagine appena, notate…

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