Il talento della malattia, di Alessandro Moscè

Il tempo perduto, specie quello dell’infanzia e dell’adolescenza, non lo si vuole solo ricordare, lo si vuole possedere. Questo tempo pretende di essere abitato per sempre. L’epicità della memoria è un’ombra che ci segue, che si muove dentro di noi. Cosa fareste voi se – con la testa dei vostri 13 anni – una sera scopriste di avere una grossa ciste, ovvero una specie di “bombolone”, ben piazzata appena sotto l’ombelico? Forse decidereste di tacere, per non perdere la nomea che vi siete fatta con gli amici e l’allenatore di educazione fisica a scuola. Vi sforzereste di continuare a correre, ogni giorno, tenendovi stretta la pancia quando non ce la fate più e una volta a casa, decidereste di non spezzare l’abituale silenzio della vostra famiglia. Di non svegliare vostro padre che come al solito dorme in poltrona e di non mettere in allarme vostra madre che torna trafelata da scuola, esponendo il problema. Meglio lasciare semplicemente scorrere il tempo, così. Si vede il mondo…

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