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In morte di Pier Paolo Pasolini: l’omaggio di Moravia

Da uno scrittore a uno scrittore, in un due novembre di quasi quarant’anni dopo ho riascoltato la voce gridata e commossa di Alberto Moravia che ripercorre la parabola dello scrittore e regista, identificandolo nel suo ruolo fondamentale di poeta, aedo del mondo e portavoce inascoltato di una dimensione sofferta e reale: Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeti. Il poeta dovrebbe esser sacro. L’immagine di un Pasolini che “fugge a piedi inseguito da qualcosa che non ha volto” è una metafora tangibile della via dell’impegno tracciata dall’intellettuale barbaramente ucciso che ricorre come una “coincidenza inaspettata”

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In morte di Pier Paolo Pasolini: l’omaggio di Moravia

L’attualità di Pier Paolo Pasolini: sullo Sviluppo e su un "nuovo Potere" fondato sull’edonismo e il disimpegno

La mattina del 2 novembre di 36 anni fa il corpo di Pier Paolo Pasolini fu ritrovato sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, ucciso a bastonate e investito dalla sua stessa macchina. Uno dei modi per ricordare PPP,uno dei più acuti analisti che l’Italia abbia avuto nella sua storia recente, è risentire le sue parole – come ci ha invitato a fare Roberto nel suo articolo di questa mattina – un’altro è rileggere ciò che ha scritto, non solo per ricordarlo, ma in qualche modo anche per riavvicinarlo a noi. Per questo vi voglio proporre la lettura di un pezzo che Pasolini pubblicò a circa un anno e mezzo dalla sua morte, sulle pagine del Corriere della Sera (che impressione pensare che trent’anni fa sul Corsera ci scrivevano intellettuali di questa portata). Si tratta di un articolo poi incluso negli imperdibili Scritti corsari, dedicato a una tendenza di cui Pasolini vide la nascita: vale a dire «l’omologazione repressiva» ottenuta attraverso «l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre». Questa omologazione repressiva era messa in pratica da un nuovo potere di cui Pasolini riusciva a intravedere soltanto il profilo, «un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transnazionale)». Non riusciva ancora a dargli un nome e una forma, ma ne aveva già intuito la malattia: «la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo Sviluppo, produrre e consumare», ovvero la base del sistema che ci sta portando in questi mesi verso un baratro di cui non possiamo ancora valutare la profondità, ma che è, nondimeno, spaventoso. In queste ore la Grecia sta letteralmente crollando, l’Italia la segue a una certa distanza, ma la segue inesorabilmente, insieme al Portogallo, alla Spagna, all’Irlanda, finanche alla Francia – che non se la passa così bene come crediamo. Insomma, mi sembra che tutto ci porti a pensare che quella dinamica di cui Pasolini ci descrisse la nascita, a…

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L’attualità di Pier Paolo Pasolini: sullo Sviluppo e su un "nuovo Potere" fondato sull’edonismo e il disimpegno

Che senso ha scrivere? Ricordando Pier Paolo Pasolini nell’anniversario dell’uccisione

Pier Paolo Pasolini veniva brutalmente ucciso il 2 novembre di trentasei anni fa . Della sua morte ebbe a dire Alberto Moravia : “La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile”. Di questa figura centrale della nostra cultura riportiamo uno spezzone di un’intervista in cui gli viene chiesto quale sia il senso dello scrivere. La risposta di Pasolini è interessante: non ha nessun senso scrivere, lo si fa per una forza d’inerzia. E lo scopo dello scrittore è altalenante tra l’essere un non senso e l’essere un cittadino che ha degli impegni che lo portano a scrivere. In un certo senso, lo scrivere è un impegno di civiltà, una testimonianza dell’essere consapevolmente nel mondo. Ma è, al contempo, un non senso. Che senso ha scrivere? Ricordando Pier Paolo Pasolini nell’anniversario dell’uccisione

Ferragosto. Una frase sferzante di Pasolini

Estate. Ferragosto. Sole, cuore, amore per usare le tre parole del tormentone di Valeria Rossi a inizio millennio. Giorno di riposo e di svago, senza dubbio. Ma anche giorno talmente ovvio che, forse, la cosa più saggia sarebbe non considerarlo. Considerazioni personali, ovviamente. A proposito di Ferragosto e dell’imperativo categorico “divertirsi” che aleggia nell’aria, ebbe a scrivere Pier Paolo Pasolini sul settimanale Il Mondo (articoli che poi confluiranno nel volume postumo Lettere luterane ): L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: “contaminazioni” tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di “raptus”: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti. Comunque lo trascorriate, buon ferragosto! Foto | Flickr Ferragosto. Una frase sferzante di Pasolini