David Foster Wallace: un ricordo. Postumo e incompleto

David Foster Wallace veniva ricordato, ieri, urbi et orbi , per l’anniversario della sua morte. Anzi, per essere precisi, per l’anniversario del suo suicidio. Io me l’ero dimenticato e l’ho trovato molto grave perché me lo sono ricordato tutti gli anni dal 2008 in poi (anzi, me lo ricordavo da giorni prima della ricorrenza), perché mi ricordo dov’ero e con chi quando ho saputo la notizia e chi me l’ha data e come e che sensazioni ho provato, e allora, visto che me ne sono dimenticato, ho capito che c’era qualcosa che non andava nella mia gestione del tempo e delle priorità. E così è andata a finire che ho capito di nuovo una cosa per merito di David Foster Wallace. Voi direte: a chi importa? Non è una tua questione personale? E’ vero. Ma credo sia anche importante e spiego perché. Leggendo i ricordi sparsi che sono stati lasciati in rete su Wallace, mi sono chiesto come li avrebbe presi, potendo dar loro un’occhiata. Magari avrebbe corretto i refusi, messo delle note a margine, fatto delle precisazioni, aperto parentesi e poi si sarebbe arreso ancora una volta, sopraffatto dall’impossibilità di farsi capire davvero da tutti e nello stesso modo, universalmente, annichilito dalla necessità di trovare le parole giuste, di chiarire bene il suo pensiero. Poi mi sono chiesto cosa avrei pensato io delle sue correzioni o puntualizzazioni. E poi che effetto avrebbero fatto a tutti gli altri lettori. Ecco, il punto è che, secondo me, lettore e amante del suo lavoro immenso e purtroppo finito – nel senso più letterale del termine, anche se Infinite Jest e il postumo Il re pallido nascondono, nei loro meandri e frattali, una spasmodica e per nulla nascosta ricerca di infinità…

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