Vita da illustratore. Intervista a Matteo Gubellini

Matteo Gubellini è uno degli illustratori e autori di libri per bambini che preferisco. Le sue figure sembrano più che disegnate intagliate sulla carta, ombre di colore che all’improvviso si animano su un muro. Matteo, la nascita di una passione come quella del disegno è nata in te grazie a degli illustratori in particolare? “La passione per il disegno me la trascino fin da bimbo, e fin da allora il mio sogno principale è quello di comunicare attraverso il disegno, e di rendere questa passione il mio lavoro. Poi attraverso tempo ed esperienze si sono intrecciate l’amore per le parole e quello per la musica”. Ti ispiri a qualcuno, per il tuo stile? “Naturalmente le influenze sono innumerevoli, inevitabile conseguenza del gusto maturato nei confronti di pittori, fumettisti, illustratori, registi, ma anche scrittori e musicisti naturalmente. All’interno del mio sito c’è una sezione chiamata “debiti”, nella quale esprimo dichiarazioni d’amore nei confronti di alcune di queste ascendenze”. Quanto è difficile farsi conoscere da un editore, per una persona che fa il tuo mestiere? “A volte non è difficile farsi apprezzare da un editore, ma in Italia è spesso inverosimile che le …

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– "Capire fino in fondo la Wilderness per una nuova etica ambientale" di Massimo Zaratin

Nella rubrica “ECOriflessioni”: “Capire fino in fondo la Wilderness per una nuova etica ambientale” di Massimo Zaratin

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La fuga narrativa, di Tom Stafford

La fuga narrativa di Tom Stafford è uno dei saggi più interessanti che io abbia letto negli ultimi tempi e credo che chiunque viva nell’orizzonte del libro (scrittore o lettore, editore o libraio) dovrebbe leggerlo. L’argomento del saggio, come dice Stafford stesso, non è dei più facili ma è, certamente, dei più affascinanti: quale rapporto abbiamo con le storie e con chi ce le racconta? “La capacità di costruire di punto in bianco un’intera realtà, per quanto instabile, dimostra che la mente non è solo una macchina sensoria. La sua attività più profonda è tessere storie probabili o solo possibili. È questa la funzione lasciata a briglia sciolta nei sogni. Avrete forse intuito che dal mio punto di vista una delle scelte più importanti riguarda il modo di descrivere il mondo, la storia di cui lo rivestiamo. Se deleghiamo ad altri questo compito, le scelte che faremo saranno le loro.” In filosofia della conoscenza esiste il cosiddetto problema del ponte : come faccio io a sapere che effettivamente quello che vedo è la realtà? Passando dalla filosofia alla lettura e alla scrittura: come faccio a descrivere quello che c’è nel mondo? Come faccio a riconoscerlo quando lo leggo? Scrive Tom Stafford: “È necessario descrivere il mondo per dargli un senso. Queste descrizioni diventano quindi simboli potenti […] Nella vita reale, quella di tutti i giorni, le descrizioni del mondo, i racconti, abbondano, e sgomitano per guadagnarsi la…

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A un sogno dal mare e nell’oblio dei monti. Dialoghi con Anna Maria Ortese, di Mauro Salvi

“Il dolore ti colpisce ai fianchi, ti smangia, ti consuma, e ti rende l’uomo, la donna che sei e che non ti resta che essere”. “Anche l’amore fa così. Lei parla del dolore ma descrive l’amore”. “Ordiniamo da bere”, disse” Erano di questo tono i dialoghi fra Anna Maria Ortese e un aspirante scrittore, Mauro Salvi, che seppe portarla fuori dalla sua dimensione, per qualche giornata, durante i suoi ultimi anni di vita. Un incontro nato con una lettera in cui Salvi le chiedeva un parere sui suoi scritti. Ortese gli rispose lasciando trapelare la devastazione della sua vita presente, chiusa in casa fra “…..” con la sorella oppressa da problemi mentali (la chiamava Trude, con lui). E Salvi la interpretò come una richiesta d’aiuto. Della donna, non della scrittrice. “Quando la conobbi, nel 1986 – racconta l’autore – Anna Maria Ortese era una donna anziana. Nel suo appartamento di via Mameli, a Rapallo, tirava avanti un’esistenza qualunque; non viveva nel presente e non rimpiangeva il passato, non si riconosceva nella ‘modernità’ ma non poteva fare a meno della città, del rumore, della gente”. Ed è una vera scoperta leggere queste pagine, per chi ha amato questa autrice, perchè Salvi riesce a compiere il miracolo: farla parlare degli stati d’animo in cui scrisse le sue opere più famose (“il Porto di Toledo è il mio libro migliore…lo scrissi in punta di piedi, come si dovrebbero scrivere i libri che valgono qualcosa”) o semplicemente dei suoi gusti in fatto di sigarette (ne fumava due pacchetti al giorno, anche di più – confessò – se scriveva. Perchè se le dimenticava accese sul posacenere). Della sua scelta di non fare bambini (“il dolore di una nuova vita si sarebbe sommato al mio dolore”), del suo rapporto con gli …

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