La casta letteraria: la riflessione aperta da Aspetta primavera, Lucky

Tornando a casa nel freddo cesso del regionale Milano-Voghe ra penso. Penso che a me m’hanno fregato i classici, poche storie. No, non i soliti classici, che so Shakespeare, Goethe o Stendhal. I classici più antichi…Virgilio, Orazio, Ovidio, Tucidide, Aristofane, Terenzio.Ecco, la respublica literatorum non esiste, è un parto della mia fantasia più sfrenata Ho già parlato di Aspetta primavera, Lucky , definendolo un “pugno nello stomaco dato con allegria” rispetto al modo in cui affronta la “dannazione” quotidiana degli intellettual-operai, come li definisce l’autore. Torno a parlarne perchè il romanzo – che è anche candidato allo Strega – descrive in modo esemplare una concezione della “casta letteraria” italiana. Crearsi una rete di rapporti, costruirsi una figura pubblica, e poi su quelle basi innestare tutto il resto – “tutto il resto” che in una concezione normale di arte sarebbe invece il dato primario – riflette il protagonista, Flavio, traduttore precario e scrittore mancato – Così facendo il rischio principale è di oscurare autori di indubbio valore ma dalla vita sociale “normale” e non compromessa a qualcuno o qualcosa. In cambio, si sa, abbiamo autori deboli ma presenzialisti A corredo del ragionamento basterebbe citare la geniale idea di Santi di far tenere al protagonista un seminario intitolato Storia paracula della letteratura, dal Metastasio della genuflessioncella…a Vincenzo Monti…Gabriele D’Annunzio… e andando indietro nei secoli.. Petrarca che ha leccato…per un tozzo di pane e un focolare, tutti i più grandi umanisti sempre alla corte di qualcuno, Machiavelli che si sbatteva per essere accettato dai Medici, Tasso che finché non gli …

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La classifica dei venti libri scritti sotto l’effetto di droghe e stimolanti

A volte gli scrittori ricorrono a qualche sostanza per stimolare la propria prosa e tenere desta la creatività. È una cosa logica: il cervello non sempre funziona al massimo livello e l’autore, che dell’ispirazione vive, deve trovare il modo che il suo cervello lavori sempre al top. Ci sono scrittori che sono stimolati dalla musica – in genere o da un tipo particolare –, altri che fumano, altri al caffè. Tutte situazioni ben note e che sono entrate anche nell’immaginario comune: basti pensare a quello spot televisivo di uno scrittore che ama scrivere di notte e fa ricorso a una nota marca di caffè decaffeinato. Charles Bukowski alzava il gomito che era una bellezza (sua la frase: “ Quando sei felice bevi per festeggiare. Quando sei triste bevi per dimenticare, quando non hai nulla per essere triste o essere felice, bevi per fare accadere qualcosa ”); William Cuthbert Faulkner (premio Nobel per la letteratura 1949) amava il whisky; Raymond Chandler (1888-1959) preferiva il cocktail gimlet e Truman Capote era un fan del Martini. Grazie agli “aiutini” più di una volta questi – e altri – scrittori sono riusciti a innalzarsi sul banale che spesso si legge. Certo non è sufficiente ricorrere a una qualche sostanza per stimolare la fantasia: come recita un detto dell’università di Salamanca, in Spagna: “Quod natura non dat Salmantica non praestat”. Insomma, se non c’è una base da stimolare, ci si può pure intossicare ma non si ottiene nulla. Ci sono, poi, autori che sono andati molto più lontano, alterando la propria coscienza giungendo fino a una sorta di contaminazione tra lo stato alterato che vivevano e quello che scrivevano: Baudelaire assumeva hashish per scrivere I paradisi artificiali ; William Seward Borrough fece ricordo all’eroina per scrivere La scimmia sulla schiena , così come la utilizzava Jim Carroll per scrivere Jim entra nel campo di basket (1978); Jack Kerouac usò anfetamine per scrivere Sulla strada . Infine abbiamo autori che batterono sentieri più psichedelici: quasi psiconauti della scrittura che viaggiarono in altre dimensioni…

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Libri & sociale: dai sopravvissuti di Marcinelle a Capodarco e la monnezza

In questi giorni in cui, vicino Roma, è ancora in corso il Salone dell’Editoria dell’impegno (si trova a Grottaferrata) mi fa piacere segnalare alcuni titoli che affrontano personaggi e realtà di interesse sociale, usciti in questi giorni. Paolo di Stefano, un bravissimo giornalista del Corriere della Sera, ha messo elmetto e divisa e si è calato, anche fisicamente, nei pozzi profondissimi della miniera belga di Marcinelle, dove a metà degli anni ‘50 morirono 262 persone, di cui 136 italiani. Dall’ascolto dei minatori sopravvissuti, figli, mogli, dei morti è nata la sua ricostruzione La catastrofa, Marcinelle 8 agosto 1956 (Sellerio editore Palermo), in cui il nostro si è “immerso” metaforicamente nel racconto di chi non ha mai dimenticato. “(…) La grandezza del Progetto Sud, sta nel fatto che ha nel proprio dna i cromosomi sani per dare al paese una forma nuova, una visione differente da quella che ha avuto finora. Progetto Sud ha una nuova, diversa abilita’ nel dare speranza e futuro al paese”. Con queste parole invece…

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– "Il gioco degli scacchi enochiani" di Daniele Mansuino

Nella rubrica d’autore “Riflessioni sull’Esoterismo” di Daniele Mansuino: “Il gioco degli scacchi enochiani”

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– "Il gioco degli scacchi enochiani" di Daniele Mansuino