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Wunderkammer: le Georgiche di Virgilio nelle acquaforti di Manzù alla GAM di Torino

Atmosfera campestre e tratti netti, per le acqueforti della mostra Wunderkammer. Coloro che hanno amato le peripezie classicheggianti di Amore e Psiche , apprezzeranno molto probabilmente anche “WUNDERKAMMER. Giacomo Manzù: acqueforti per le Georgiche di Virgilio” , una mostra a cura di Lara Conte , che illustra l’universo bucolico del poema. Fino al 29 settembre 2013 sarà infatti possibile inoltrarsi nelle sale situate al secondo piano della GAM (Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea) di Torino. L’esposizione in questione si inserisce nel progetto Wunderkammer intarsiando il ciclo di appuntamenti supervisionati da Virginia Bertone, conservatore delle raccolte e responsabile del nuovo Gabinetto Disegni e Stampe della GAM. A partire dai 14 Studi all’acquaforte provenienti dalla serie “Vergilii Georgica” di Giacomo Manzù, riuniti in una preziosa cartella confluita nelle collezioni della GAM nel 1956 grazie all’importante legato di Alberto Rossi, il percorso dispiega una singolare e moderna interpretazione, che si rivolge in direzione di un’interpretazione scarna ed essenziale, costruita scavando quasi per sottrazione di tratti nello spazio bianco del foglio. Stampata in pochi esemplari sotto la direzione di Carlo Alberto Petrucci alla Calcografia Nazionale di Roma e poi pubblicata dall’Istituto d’Arti Grafiche di Bergamo nel 1948, alcuni mesi dopo l’uscita del volume Hoepli, la cartella rivelò l’interesse dell’artista per i temi classici, ripresi anche nell’illustrazione delle stesse Georgiche per l’edizione pubblicata da Ulrico Hoepli, nella versione italiana di Giulio Caprin. Le opere esposte si inseriscono a buon titolo “in una stagione creativa cruciale”, durante la quale l’artista realizzò più di sessanta acqueforti, comprendenti studi preparatori, lastre definitive e varianti, dedicate alle Georgiche, e volte ad indagare un rapporto intimo e allo stesso tempo conflittuale con la natura in continuo divenire. Tra le acqueforti presentate se ne trova esempio nel motivo della natura morta sulla sedia (La seggiola): tema di forte impatto autobiografico e affettivo, che sarà più volte esplorato in…

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La favola di Amore e Psiche di Apuleio

Amore e Psiche, in un insanabile duello dei sensi e della ragione. Gli esami sono ancora vicini, ed eccoci capitare sotto il naso una bellissima favola latina, quella che racconta soavemente dell’incontro d’anime e di corpi tra il Dio Amore e la bella Psiche . Gran classico di Lucio Apuleio che ritorna dalle nebbie degli anni di liceo, per farsi potente veicolo di sentimenti, di passioni, di miserie umane e di piccole glorie. Un piccolo gioiello che conta meno di 120 pagine, con il testo latino originale a fronte, magistralmente tradotto da Simone Del Vecchio, per cimentarsi in qualche salto indietro, e rispolverare anni di costruzioni, di letture e traduzioni, ma anche e soprattutto di teneri sospiri, di immani scoperte e di crescita, riassunte in una storia costantemente attuale, quella del giovinetto inviato dalla collerica Venere a vendicare l’offesa alla sua bellezza, innamoratosi perdutamente della vittima predestinata. Ed è proprio tra le righe di una vicenda fatta di ingenuità e di invidie, di divinità e mortali, di purezza dei sentimenti e di squallore, che emerge tutto il portato dell’insanabile contrasto tra la pienezza placida eppure sempre anelante della passione amorosa, e l’instabilità crudele della volontà di pensiero, condannate a sfiorarsi, per gioire di attimi indimenticabili, per poi scontrarsi e perdersi, ritrovarsi e straziarsi all’infinito, nel più crudele dei giochi. Allora, sentendo crescere irresistibilmente il desiderio per il dio della voluttà, gli si abbandonò sopra con le labbra schiuse per la passione e cominciò a baciarlo senza freno, con l’unica paura che si potesse svegliare. Ma mentre l’anima sua innamorata s’abbandonava a quell’indicibile piacere, la lucerna o per malvagia perfidia o per odiosa gelosia, quasi volesse anch’essa toccare e baciare un corpo così bello, lasciò cadere dall’orlo del lucignolo una goccia di olio bollente che finì sulla spalla destra del dio. Oh audace e temeraria lucerna, vile strumento d’amore, proprio tu hai osato bruciare il dio di ogni fuoco, tu che sei stata certamente creata da un’amante che voleva prolungare il …

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La famiglia Karnowski, di I. J. Singer

«Dedico queste pagine alla memoria del mio defunto fratello, I. J. Singer, autore dei Fratelli Ashkenazi. Egli era per me non soltanto il fratello maggiore, ma anche un padre spirituale e veramente un maestro di vita. Io guardo a lui come a un modello di grande spiritualità e di probità letteraria». Chi è che parla è Isaac B. Singer – queste parole si trovano nei ringraziamenti del suo capolavoro La famiglia Moskat – fratello minore di Israel, ma anche più famoso al punto da averne oscurato la presenza nel panorama letterario. Certo, con ogni probabilità basterebbero quelle poche righe per fare di Israel (di chiunque) un grande scrittore del Novecento. La conferma, invece, arriva da un libro e, be’, scrivere capolavori deve essere un vizio della famiglia Singer. Il termine “famiglia” è ancora una volta parola chiave e tema centrale nel libro di Israel, scritto negli anni Quaranta e pubblicato ora in Italia da Adelphi: La famiglia Karnowski . A rigor di termini, si tratta di un’epopea. Inizia con David, gran lavoratore e studioso, che si trova in contrasto con il codinismo dell’ebraismo polacco in cui è nato e decide di andarsene nella più liberale Berlino dove avrà ottimo successo. Non avrà altrettanto successo con il figlio Georg: uno scavezzacollo che non vuole saperne di percorrere le profonde orme del padre, ha poca voglia di studiare e meno di lavorare. Diversamente da David, Georg ha una colossale confusione in testa: sulle sue origini religiose, culturali…

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Jean Cocteau e Le sang d’un poète alla Galleria de Foscherari di Bologna

“Un documentario realistico di eventi irreali”, ecco lo spirito del primo lungometraggio di Jean Cocteau. “Le sang d’un poète” del 1930, sonoro e con la voce del regista fuori campo, viene spesso inserito tra i capolavori del cinema surrealista, accanto a film come “L’etoile de mer” di Man Ray, “Un chien andalou” di Luis Buñuel e “L’ Atalante” di Jean Vigo. E’ proprio insieme a questi titoli, e ad altri, che la contestata opera di Cocteau sarà proiettata domani, mercoledì 22 maggio 2013, alle 18 presso la Galleria de Foscherari di Bologna , penultimo tassello della rassegna organizzata in collaborazione con la Cineteca del capoluogo emiliano. Poesia per immagini, partorita fino all’ultima stilla, dalla creatività di uno dei più grandi poeti francesi del secolo scorso, vi si esplora il tema della creazione artistica e quello del rapporto del poeta con la propria musa ispiratrice, per soffermarsi sul destino dell’opera d’arte e la sua evoluzione concettuale, con ripetuti cenni alla omosessualità che la resero tanto invisa ai Surrealisti stessi, in particolare da Breton e dal grande storico del cinema Sadoul, che lo videro per primi e aspramente lo condannarono. D’altra parte, Cocteau, che con i Surrealisti non aveva buoni rapporti, ha sempre rifiutato per questo film l’etichetta di surrealista, professandosi estraneo a questa tendenza. Anche gli storici del cinema, fino ai nostri giorni, hanno espresso al proposito pareri contrastanti, prevalentemente contrari ad inserirlo tra le opere surrealiste. E’ vero però che il racconto

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